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ilda boccassini
George Orwell e altri autori inglesi la chiamavano common decency. È un'espressione che non è facile rendere in italiano. Provandoci con una parafrasi, richiede, ad esempio, che chi parla, anche in pubblico, di se stesso o di altri non superi una linea oltre la quale la dignità dell’uno e degli altri è ferita, sminuita. Richiede misura, rispetto per il prossimo, istintiva correttezza morale, in sintesi appunto non oltrepassare certi limiti. Una virtù propria, secondo Orwell, soprattutto della gente comune, dell’”inglese medio” al tempo in cui lo scrittore viveva. Quello, che più che un atteggiamento è un principio, mi è venuto in mente leggendo dell'autobiografia di Ilda Boccassini. L'ho conosciuta bene, era entrata in servizio a Milano pochi anni prima di me. Ha sempre avuto qualità eccellenti quasi uniche. Un intuito investigativo straordinario, conosceva come pochi altri i fenomeni criminali di cui si occupava, soprattutto mafia e ‘ndrangheta, aveva dedizione al lavoro e caparbietà anche nel senso migliore del termine. Sul piano umano invece non brillava. Era sgarbata, quasi ai limiti della maleducazione e poco propensa, così si comprende anche dal libro, a lavorare in gruppo con gli altri colleghi. La storia della sua vita professionale è indubbiamente istruttiva, racconta fatti, quelli della Sicilia negli anni 80-90 in particolare, che chi non ha vissuto quel periodo rischia di dimenticare o di non conoscere affatto. Ma le pagine che raccontano la storia con Giovanni Falcone superano ampiamente il limite della common decency. Sono le pagine che alla fine saranno certamente quelle più lette e con maggiore curiosità anche oscurando anche il resto. Ed infatti i mass-media nel lanciare l'uscita del libro hanno insistito soprattutto su quella storia d'amore. Tutti nel mondo giudiziario lo sapevano ma non c'era alcun bisogno, se non per una pulsione personale, di raccontarlo a tutto il paese. Si prova un senso di pena per la moglie di Giovanni Falcone, la collega Francesca Morvillo dilaniata insieme a lui dalla bomba, e per i parenti e gli amici ancora in vita che una mattina dal Corriere hanno saputo di quel libro e dei suoi svolazzi da letteratura minore. I maligni e i nemici del magistrato potrebbero anche a questo punto obiettare che se Ilda Boccassini aveva intessuto una relazione amorosa con Giovanni Falcone, non doveva accettare di essere applicata a Caltanissetta per condurre le indagini sulla sua morte perché da quello, da quell'unico caso, aveva il dovere di astenersi come richiede il Codice di procedura penale. Ilda Boccassini era ormai in pensione da quasi due anni, era uscita del tutto dall'ambiente, in silenzio, lasciando le scene come Greta Garbo, e il paragone è un omaggio. Non aveva più fatto apparizioni, come tanti illustri pensionati, in convegni e interventi sui mass-media né aveva sollecitato qualche incarico politico grande o piccolo. Questo ritirarsi a vita privata dopo tanti anni di impegno era una scelta non comune. Ma, l’ho scritto tante volte, i magistrati, quelli famosi, hanno un ego, ingigantito nel corso di processi ed indagini, che è difficile da tenere a bada e che non vuole scivolare nell'anonimato. E alla fine prevale. Penso sia accaduto così in questa autobiografia. Certo un libro non è una requisitoria in aula e non incide sulla giustizia e sugli esiti dei processi. Ma credo, che alla radice, e visto in profondità, il fenomeno dell’oltrepassamento, possiamo chiamarlo così, sia lo stesso che ha portato indagini acclamate dai mass media ad essere coltivate, oltre la common decency, oltre il loro limite sino a sgonfiarsi, anche se dopo anni, nelle aule. Chi legge immagina di cosa parlo, è storia giudiziaria recente. Credo che i magistrati cerchino giustamente indipendenza dalla politica e dal potere ma l'indipendenza dal loro ego personale è altrettanto importante. E non sempre riesce.