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Tutti i governi hanno cercato di dare una loro “impronta” al servizio pubblico radiotelevisivo. Rientra nelle loro competenze.
Ciò che non rientra nei loro compiti è quello di “piazzare” le persone più fedeli e non più capaci, di far fuori le persone che non appartengono a nessuna cordata anche se validi collaboratori.
In questa legislatura sono ormai diversi i richiami dell’Agcom ai Tg delle diverse televisioni, non solo la Rai, per dare troppo spazio al governo e poco alle opposizioni. Si parla di monopolio tanta e tale è la presenza dei viceministri, Matteo Salvini e Luigi Di Maio.
Ma se la par condicio può essere facilmente bilanciata, diverso è il discorso della linea editoriale, l’orientamento che si dà o non si dà a una notizia. In questi casi la par condicio è difficile da calcolare o da far rispettare. È per questo che desta particolare preoccupazione il piano appena votato dal Cda Rai.
È una ristrutturazione voluta dall’amministratore delegato Fabrizio Salini, che prevede la creazione di nove super aree con altrettanti mega direttori a cui faranno riferimento i tradizionali Raiuno, Raidue, Raitre. Questo riguarda anche i Tg. I diversi direttori resteranno, ma dovranno dar conto del loro operato, a partire dal budget, ad un unico direttore dell’informazione che coordinerà anche il lavoro dei talk di approfondimento.
Se per quanto riguarda la produzione di fiction o di programmi di intrattenimento l’accentramento previsto dal nuovo piano industriale - passato a maggioranza con due voti contrari - potrebbe essere una utile razionalizzazione in vista anche della sfida aperta dalle piattaforme come Netflix, per quanto riguarda l’informazione c’è invece solo da aver paura. Un unico direttore per quanto laico e aperto, non potrà che condizionare anche la linea editoriale. E visti i precedenti, senza distinzione di partito, il rischio è che il pluralismo anche se difettoso e condizionato da molte pressioni - resti un antico ricordo.
Se lo avesse fatto Matteo Renzi, ci sarebbe stata immediatamente una rivolta, capeggiata dai costituzionalisti in nome dell’articolo 21. Questa volta, per il momento, si è avvistata solo qualche flebile protesta.