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Il giorno della Liberazione è un giorno divisivo. Non c’è una memoria condivisa sulla valenza storica e politica del 25 aprile: strumentalizzazioni e opportunismi ripetutisi negli anni, hanno macchiato una data che comunque segna la fine del giogo nazifascista. E già solo per questo andrebbe meritatamente celebrata. Ma oggi, nel momento in cui il pianeta è alle prese con una pandemia al tempo stesso globale e irrisolta - e dove molti richiamano il sentimento della guerra equiparando questa all’ultima di portata mondiale senza avvedersi della drammatica disparità tra i due eventi è impossibile non riandare con la mente a quel periodo riproponendo la necessità di uno sforzo comune per ricostruire, di più e meglio, ciò che è andato distrutto. Un impulso a cui si è riferito lo stesso capo dello Stato, invitando gli italiani a ritrovare l’impeto di quel comune sentire che contraddistinse gli anni successivi al conflitto, culminati nel “miracolo italiano”: «Le energie positive che seppero sprigionarsi in quel momento - ha scritto Mattarella nel suo messaggio - portarono alla rinascita». Stiamo alla larga dalla retorica. La distanza - culturale, sociale, ideale, umana - tra il 1945 e oggi è abissale. In particolare perché allora strumenti e collettori delle istanze di rigoglio e di speranza degli italiani furono le forze politiche, i partiti e i leader temprati dallo scontro con la dittatura. E proprio perché svolsero quella funzione, anche sociale di gestione dei bisogni popolari, conquistarono autorevolezza e prestigio per decenni, fino alle soglie di Tangentopoli. Oggi quei partiti non ci sono più, né è prevedibile che rinascano dalle loro ceneri. Ci sono i leader, è vero. Ma sono figli di una politica concepita come bisticci di slogan, guerriglie di polemiche, agguati di propaganda. E’ labile la consapevolezza del loro ruolo e la necessità di saper guardare oltre le singole convenienze e i personali interessi. Mentre da parte dei cittadini nel corso degli anni è montata un’onda di rifiuto e di discredito verso gli uni e gli altri: purtroppo non priva di ragioni. Eppure adesso ricostruire bisogna. E’ un compito a cui maggioranza e opposizione non possono sottrarsi. I fumi dell’emergenza, fortunatamente, si stanno lentamente diradando. Ed emerge la realtà di responsabilità non scaricabili ad altri.