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«Se facessi parte di uno dei due movimenti di maggioranza, al leader direi: “Scappiamo, prima di essere travolti dalla casa che crolla”». Il giudizio di Giorgio La Malfa, storico leader dei repubblicani al tempo del Pentapartito ed ex ministro al Bilancio del governo Cossiga, è netto: o la manovra si cambia, oppure sarà crisi.
Tertium non datur?
No e le dico di più: se la manovra sarà riscritta, Lega e 5 Stelle avranno un fortissimo contraccolpo nell’opinione pubblica. L’anno prossimo l’economia non crescerà, il deficit salirà ancora e lo spread rimarrà alto: così l’elettorato dirà che il governo ha tradito le attese. Le colpe del passato si possono usare come scudo per qualche mese ma, dopo un anno di governo, chi può ancora chiedere sconti? Ripeto: o il governo ha la forza di cambiare radicalmente la manovra, oppure si salvi chi può.
E si salverà qualcuno, secondo lei?
Si salva il primo che fa cadere il governo, l’altro invece va a fondo.
Chi rischia di più?
Sicuramente Matteo Salvini, che così sta mettendo in pericolo il suo feeling con l’elettorato del nord, attento all’economia perché composto da risparmiatori ed imprenditori.
I grillini, invece, sono meno esposti?
Quello dei 5 Stelle è un elettorato bisognoso: il loro governo viene apprezzato se, anche litigando con l’Europa, riesce ad aumentare il suo margine di reddito. L’imprenditore di Arzignano, invece, non prenderà affatto bene una manovra che gli farà pagare interessi al 4% in banca oppure - peggio - che la banca gli chiuda il credito.
Quindi, i primi a sfilarsi saranno i leghisti, nonostante i sondaggi che li diano in continua crescita?
Di sicuro sono i primi a doversi preoccupare. È vero che crescono, ma i sondaggi sono intenzioni di voto, mentre i 5 Stelle i voti li hanno presi. Se un cittadino si orienta a votare un partito ma poi quel partito gli dà un pugno in un occhio, secondo lei lo voterà poi? Salvini ha bisogno di consolidare il suo elettorato e non lo fa di certo se il nord si convince che è in atto una politica sbagliata.
Che cosa c’è di così sbagliato?
Detta in modo chiaro: il problema è che non si tratta di una manovra espansiva, ma tutta basata sull’aumento delle spese correnti. Sono previsti due fondi da circa 15 miliardi di euro - cioè un punto di Pil - destinati a reddito di cittadinanza e anticipo pensionistico. Si tratta di voci enormi dal punto di vista dell’importo finanziario ma poco efficaci sul piano degli effetti economici. In economia si chiamano effetti moltiplicativi: forti nel caso di investimenti, minuscoli nel caso dei trasferimenti. Risultato: il governo non ha nulla in mano per quanto riguarda il 2019.
Possibile un tale errore di valutazione?
Riavvolgiamo il nastro: la manovra ha preso corpo tra agosto e settembre e si innestava in un quadro economico che di per sè aveva stime di crescita dell’ 1%. Per questo si poteva dire di puntare alla crescita dell’ 1,5%. Oggi il governo non considera il fatto che le prospettive risultano molto peggiori, con una ipotesi di crescita che tende allo 0. Quindi, è necessario partire dal fatto che i dati di base su cui è stata progettata la manovra sono completamente cambiati. In sostanza, in una situazione nuova come quella di oggi, la manovra andrebbe completamente riscritta.
Eppure, per ora, il governo la difende.
Mi pare però che nessuno, nè i ministri nè lo stesso premier, difenda la manovra nei suoi effetti. Viene difesa solo dicendo che l’Italia ha il diritto di fare quello che vuole, nozione per altro non proprio esatta considerando il quadro europeo.
E come andrebbe difesa, invece?
La manovra andrebbe sostenuta spiegando che è la strada giusta per diminuire il peso del debito pubblico. Questo, però, nessuno lo dice, perchè la maggioranza si è resa conto che la manovra è inefficace dal punto di vista del sostegno alla crescita. La domanda quindi è, e mi riferisco soprattutto alla Lega: che interesse c’è a mettersi in conflitto con l’Europa, dal momento che il governo non ha una politica seria da difendere?
Sarebbe possibile solo qualche modifica, invece che una totale riscrittura?
Politicamente è difficile. Dal punto di vista della tenuta della maggioranza, se si rinuncia o si dimezza una componente della spesa corrente, ovvero il reddito di cittadinanza, bisogna che si rinunci o si dimezzi anche l’altra, ovvero le modifiche pensionistiche. L’obiettivo è chiaro: bisogna inserire investimenti nella manovra e, per farlo, bisogna togliere spesa corrente. Ma questo va fatto in modo equilibrato, altrimenti il governo non regge.
I commissari europei sono stati molto duri con l’Italia, lei pensa che questo abbia inciso sull’andamento della nostra economia?
Anche i commissari europei rispondono a un elettorato e hanno un mondo di riferimento, quindi se vengono insultati sono costretti a reagire, pur con tutta la loro voglia di mostrarsi amici dell’Italia. Il governo ha sbagliato a porsi in modo così conflittuale: per promuovere una politica diversa da quella che in passato i governi italiani hanno accettato dall’Europa, erano necessari toni più distesi possibile. L’Esecutivo doveva far capire che il suo obiettivo non era quello di litigare con le istituzioni europee, ma di fare l’interesse dell’Italia all’interno del quadro europeo. Invece si è fatto tutto il contrario.
Quanto ha pesato la decisione unilaterale di superare il tetto del deficit?
Guardi, io sono convinto che la manovra dovesse superare il deficit oltre i limiti concordati, in modo da forzare la crescita italiana. Per farlo però, si sarebbe dovuto adoperare un particolare garbo: bisognava spiegare la scelta con i numeri, aprire al dialogo, dare margini di cambiamento. Non certo dire: “Lo faccio e me ne frego dell’Europa”. Il governo poteva legittimamente presentare in Europa una linea politica diversa, però doveva farlo non come atto di ostilità, ma come passaggio all’interno della collaborazione che l’Italia aspira ad avere nell’Unione. La forza di un governo che ha una politica chiara è quella di non aver bisogno di alzare la voce, e non è stato il caso dell’Italia.