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Sui muri dell’arcivescovado di Locri, l’altra notte, sono state tracciate delle scritte che hanno suscitato una grande indignazione. Una di queste era contro don Ciotti, il fondatore di Libera, e cioè della principale associazione anti- mafia che opera in Italia. La scritta diceva: “don Ciotti sbirro”. La seconda scritta era più generica, ma anche più politica. Diceva: “meno sbirri più lavoro”. Quando l’antimafia condanna chi combatte la mafia
Non sono due scritte uguali, anche se è uguale lo sdegno che hanno provocato sui grandi giornali e nel palazzo romano. La prima è un semplice insulto a un sacerdote molto impegnato sul fronte della lotta alla mafia. La seconda, con termini molto rozzi, esprime un concetto non del tutto insensato. E cioè l’idea che per riscattare il Sud, e in particolare la Calabria – che è il sud del sud – e ancora più in particolare la Locride - che è il Sud della Calabria - lo Stato non debba presentarsi con le manette ma con una offerta economica e sociale. Innanzitutto il lavoro, che manca, e mancando crea miseria, emigrazione, rabbia. E poi la sanità, la scuola, il welfare. Invece lo Stato, da molti anni, per affrontare la mafia conosce solo l’opzione militare. E affida la direzione delle operazioni non alla politica ma alla Procura.
Non è un delitto dire queste cose. Anche se pochissimi le dicono, e se le dici molti ti accusano di corrività con la ‘ ndrangheta. È probabile che le scritte sul muro della Chiesa le abbia sacarabocchiate qualche picciotto di mafia. E questo giustifica lo scatto contro la ‘ ndrangjheta, ma non la retorica vuota, le belle e inutili e spesso molto ipocrite parole.
Don Ciotti e Mattarella erano stati accolti, in Calabria, da una lettera – che giovedì scorso abbiamo pubblicato sulla prima pagina del nostro giornale – scritta da Piero Schirripa e da Natale Bianchi. Tra poche righe vi diciamo chi sono Piero e Natale. Prima volgiamo dirvi che quella lettera era molto polemica con Ciotti. Ne ricopio un brano: «Caro Ciotti, noi ti accusiamo frater-namente di aver sbagliato (…) Tu, politicamente, ci hai fatto massacrare dalle persecuzioni giudiziarie e dal disdoro dei pettegolezzi. Tu, politicamente, stavi con i potenti: con la Procura e la Prefettura. Hai scelto, come altri, ciò che ti è convenuto. Noi, che pure non eravamo contro le istituzioni, ma volevamo conquistare un’altra Calabria, siamo stati puniti per questo, e messi alla gogna».
Chi sono Piero Schirripa e Natale Bianchi? Piero è un medico, lo ho conosciuto da giovane perché militavamo insieme nella sezione universitaria del Pci. Laureatosi, alla fine degli anni settanta, è sceso nella Locride, cioè la sua terra, e ha dato vita a varie cooperative, che servivano a creare lavoro e a fornire assistenza.
Negli anni 90, con l’aiuto del vescovo Bregantini, ha realizzato anche una cooperativa per aiutare gli ex detenuti e i bambini figli dei boss di mafia. Insieme a lui c’era Natale Bianchi, un ex prete, che era stato sospeso a divinis perché si era schierato per il divorzio, nel 1974. Natale è molto famoso nella Locride perché è stato l’unico prete, forse, a schierarsi a faccia aperta contro don Stilo, il prete potentissimo appoggiato dalla ‘ ndrangheta e dai signori della Locride. Della lotta tra Natale e don Stilo parla a lungo Corrado Staiano, in un dei suoi libri più famosi, “Africo”, scritto alla fine degli anni settanta. Un giorno don Stilo, di fronte a molti testimoni, esasperato dalle posizioni di don Bianchi, gli gridò sul muso: «Tu non sai chi sono io; anche le pietre mi conoscono. Se io voglio posso schiacciarti come una formica».
Piero e Natale, coraggiosi nemici della mafia, negli anni novanta furono perseguitati dalla giustizia. Ma anche dalla mafia, che un paio di volte gli sparò. La Chiesa, per evitare conflitti con lo Stato, rimosse mons. Bregantini dalla Locride e lo mandò nelle Marche. Le Procure avviarono diversi processi contro Schirripa e Bianchi. Dissero – mostrando fantasia e logica ferrea - che le loro cooperative di assistenza ai figli dei mafiosi erano frequentate da molti figli di mafiosi... Non c’è niente da ridere. Per anni Piero a Natale hanno dovuto sostenere l’assalto. Dei giudici, della stampa, dell’antimafia ufficiale.
Alla fine, è logico, sono stati assolti da tutte le accuse. E ora anche Mattarella, anche il governo, persino gli stessi giudici, esaltano le cooperative. Ma ormai la cooperativa di Pietro e Natale è morta, gran parte del loro lavoro, della loro vita, distrutti.
L’antimafia ufficiale – anche quella rappresentata da “Libera” – non mosse un dito per difendere il medico e il prete. L’antimafia ufficiale, in Italia – non c’è bisogno di Sciascia per accertarlo – ha una idea molto autoreferenziale della lotta alla mafia. Considera se stessa l’unica struttura autorizzata, non conosce pluralismo: tutti gli altri, se vogliono occuparsi di mafia, devono chiedere il permesso, e se non hanno il permesso allora sono sospettabili di amicizia coi mafiosi. Questa abitudine, questo vizio, sono stati il freno principale alla lotta alla mafia. Magari è ora di farla finita con quelle abitudini. E con la retorica e i salamelecchi al posto dei fatti.