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Roberto D'Alimonte
Il professor Roberto D’Alimonte, docente di sistema politico italiano alla Luiss- Guido Carli, ritiene che il voto delle Amministrative non porterà la Lega fuori da governo perché «dietro a Giorgetti c’è una Lega del Nord che impedirà a Salvini colpi di testa tipo Papeete».
Professor D’Alimonte, pur in attesa dei ballottaggi a Roma e Torino, quali risvolti avrà il risultato delle Amministrative sul futuro del governo?
Queste elezioni hanno confermato un trend che i sondaggi da molti mesi avevano pronosticato, e cioè che la Lega sta perdendo consensi soprattutto in due direzioni: verso l’astensionismo e verso Fratelli d’Italia. Questa conferma ha innervosito Salvini che ha subito preso la palla al balzo sulla legge delega sul fisco per riconquistare visibilità. Ma l’incontro con Draghi ha ridimensionato quella che in un primo momento sembrava una minaccia di crisi e l’allarme sembra rientrato. Per ora.
Per ora l’allarme è rientrato, tuttavia l’impressione è che il leader della Lega possa tornare all’attacco su altri temi. Teme che nelle prossime settimane la Lega possa lasciare la maggioranza?
La Lega cercherà di far sentire la sua voce riguardo ai temi cari ai suoi elettori, cioè tasse, immigrazione e riforma pensionistica, ma non credo che questa posizione più assertiva possa portarla fuori dal governo. È difficile che possa accadere perché c’è una “Lega del Nord” che non vuole assolutamente un’uscita dalla maggioranza.
I voti in uscita verso Fratelli d’Italia acuiranno la contesa per la leadership del centrodestra, visti anche gli equivoci capitati in campagna elettorale?
Non c’è dubbio che è in corso una rivalità molto accesa tra Lega e Fratelli d’Italia, tra Salvini e Meloni. In gioco c’è la leadership della coalizione e forse anche del governo, visto che a oggi il criterio non ancora rinnegato è che il primo partito della coalizione esprimerà il candidato presidente del Consiglio in caso di vittoria del centrodestra alle Politiche del 2023. Non è chiaro se questo sia un elemento di debolezza o no. Un conto è presentarsi davanti agli elettori con un candidato unico, come era Berlusconi. Un altro conto è presentarsi con due candidati. È un tema su cui riflettere.
Il centrosinistra avrà lo stesso problema, quando si troverà a scegliere tra Letta e Conte, tra un centrosinistra a guida riformista e uno a trazione sovranista?
La situazione è diversa, perché se non cambiano le cose il partito più grande, cioè il Pd, potrà reclamare l’indicazione del candidato presidente del Consiglio, anche alla luce di queste Amministrative. I dem hanno vinto in diversi comuni, forse vinceranno a Roma e Torino e sono andati bene nel dato aggregato dei 118 comuni sopra i 15mila abitanti. I Cinque Stelle invece hanno perso su tutta la linea.
Tra le due coalizioni pensa possa inserirsi anche una componente centrista che faccia da ago della bilancia come i Verdi e i Liberali in Germania?
In Italia esiste uno spazio al centro ma è occupato da molti frammenti che faticano a coalizzarsi. Chi riuscirà a mettere d’accordo Renzi, Calenda, Bonino, Berlusconi? Inoltre in Germania c’è un sistema proporzionale, mentre da noi è misto. Si vedrà dopo l’elezione del presidente della Repubblica quando si parlerà di nuovo di legge elettorale. Sarà un tema caldo e se arriveremo a un sistema proporzionale allora cambierà tutto.
Il voto ha ristabilito le antiche gerarchie con un centrosinistra largo ma a forte trazione Pd, guidato da Enrico Letta?
Non c’è dubbio. L’analisi del voto nei 118 comuni di cui sopra dice che il Pd ha tenuto molto bene. I voti che ha preso corrispondono effettivamente a quel 19 per cento circa che gli si attribuisce a livello nazionale. In questi comuni invece la Lega ha preso il 7,7 per cento, il Movimento 5 Stelle il 6,3; Fratelli d’Italia l’ 11,3; Forza Italia il 5 per cento. Cinque anni fa il Pd era al 19,5 %, anche se alle Europee del 2019 era al 28,4. Nel 2016 la Lega era al 6,1 e al 28 alle Europee. Il M5S era al 17,8 cinque anni fa e al 17,2 alle Europee. Fratelli d’Italia nel 2016 aveva preso il 4,9 e il 6,6 alle Europee. Forza Italia aveva il 7,8 nel 2016 e il 7,9 alle Europee. Questo è il quadro.
In sostanza, il centrodestra ha perso le elezioni perché ha sbagliato i candidati, a partire da quello di Milano…
Sì, ma c’è stato anche un problema legato alla Lega la cui performance ha indebolito la coalizione perché una parte dei suoi voti sono finiti nella astensione mentre una parte sono andati a Fdi.
Dopo l’incontro/ commiato con Merkel a Roma, potrebbe diventare Mario Draghi il vero deus ex machina in Europa?
Andiamoci piano. Siamo un paese debole, non siamo la Germania. Poi certo abbiamo la fortuna di avere un primo ministro che è l’uomo molto rispettato a livello europeo, ma non è un leader politico. Non si è mai presentato alle elezioni e non credo che lo farà. Ma certamente a livello comunitario farà sentire la sua voce autorevole.
All’interno dei confini nazionali riuscirà invece a portare a termine il percorso di riforme legate al Pnrr, dopo aver ormai quasi del tutto completato la campagna vaccinale?
Sono moderatamente ottimista. Draghi è una persona che unisce la competenza all’autorevolezza. Sta accelerando sulle riforme e questo è positivo. Il problema è che molte di queste riforme andranno seguite nella loro evoluzione nel tempo. Per la riforma della giustizia, dell'amministrazione o della pubblica istruzione, ad esempio, non basta una buona legge, serve che quella legge venga applicata bene.
Pensa che potrebbe essere lui a sorvegliare sulla loro applicazione, magari dal Quirinale?
Non ne ho la più pallida idea. Posso solo sperare che questa maggioranza esprima il prossimo presidente della Repubblica, perché significherebbe mantenere la coesione di cui il paese ha bisogno.