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Cent’anni fa in Italia nasceva il centro. Il 18 gennaio 1919, infatti, s’affacciò il Partito Popolare di Sturzo, Grandi, Murri, ispirato alla dottrina sociale della chiesa cattolica, un impasto ideologico che sconvolse lo schema binario destra/ sinistra dell’ancor giovane geopolitica italiana, introducendo, appunto, un terzo protagonista non catalogabile secondo i vecchi canoni.
L’anomalia si rese ancora più evidente con l’avvento della democrazia dei partiti, quando il PPI degasperiano, ribattezzato Democrazia Cristiana, si insediò al centro del sistema politico svolgendo un ruolo egemone che ininterrottamente lo ha consacrato col voto popolare come il maggiore partito di governo dal 1946 al 1992. Che fosse “centro” e non “destra” o “sinistra” seppur con aggettivi e gradazioni diverse (moderato, ad esempio), era dimostrato dal fatto che nel suo pantheon ideologico- programmatico potessero trovare spazio visioni e sensibilità liberali (De Gasperi avanti a tutti) insieme con professioni di fede decisamente più spostate a sinistra, lungo l’asse della socialità (Dossetti, La Pira, l’ala sindacale della CISL e delle Acli), e che trovavano sintesi in personalità come Aldo Moro, partecipe delle due sensibilità, supportate da un senso laico della militanza politica.
E questa fu la grandezza della Dc, il più popolare partito italiano, che fece da riferimento anche per altre esperienze nel panorama politico internazionale, esportandone il modello. L’anomalia centrista rappresentata dalla DC si estinse per molte ragioni (la caduta del Muro, una validissima) certo, ma la più efficace fu la scientifica distruzione del sistema elettorale proporzionale con voto di preferenza in favore del maggioritario (1993) che pretese di ridurre lo schema della politica italiana a due soggetti (destra/ sinistra) rimuovendo l’area di centro. Il nuovo sistema uccise il centro e non riuscì a dare vantaggio alla sinistra, ma promosse una destra che nell’Italia repubblicana non aveva mai avuto le proporzioni maggioritarie assunte in quel momento con Berlusconi, portandosi in pancia quella parte che dichiarava senza imbarazzi la sua discendenza ideologica dalla Repubblica di Salò e che fino a quel momento era stata relegata a insignificante segmento elettorale emblema della nostalgia reazionaria.
Sono passati 25 anni da allora, gli accadimenti sono passati dalla cronaca politica alla storia, e, almeno un paio di volte per stagione politica, specie prima o dopo qualche elezione, da 25 anni ritorna nel dibattito pubblico il tema del centro. L’ultimo a gettare il tema sul tappeto, in ordine di tempo, è stato Calenda, con innegabile tempismo e buoni argomenti tattici. Dopo il voto delle Europee, l’asse della politica italiana sembrerebbe segnare con nitidezza un quadrante rappresentato dalla destra ad egemonia leghista, mentre resterebbe zoppicante l’area dell’opposizione, con un Pd non in grado di caricare sulle sue spalle l’onere dell’alternativa, a meno di non voler considerare possibile una joint venture col Movimento 5 Stelle (in una nuova legislatura, perché il solo pensarlo in questa raddoppia i voti di Salvini).
Dunque resta il mitologema del “centro”. Ma quale? Il centro è (era) innanzitutto un insediamento sociale, un’antropologia, una categoria culturale e sociologica che poggia (va) su un’area sociale una volta maggioritaria- il ceto medio oggi distrutta o ridottasi ad una stringa piccola e gonfia di rancore. E poi la storia del “centro” nella vita democratica italiana non è mai stata una storia ancillare, ma di proposta alternativa e “maggioritaria”, che sapeva farsi percepire come tale dal popolo.
Siamo convinti, allora, che l’alternativa alla destra a trazione leghista debba essere costruita attraverso un’alleanza programmatica di centro e di sinistra, ma questo potrà avvenire solo tra due dignità pari che si incontrano, dove a nessuno può’ essere assegnato un ruolo ancillare. Perché se così non fosse, se il centro fosse troppo debole, sarebbe l’intera alleanza a perdere. Dunque il tema c’è ed è forte, e chiama dentro profili programmatici, insediamento sociale, classe dirigente e leadership. E tempi ragionevolmente rapidi, perché la legislatura è già morta, anche se il medico legale non l’ha ancora certificato. Calenda ha lanciato il sasso nello stagno. Non facciamo estinguere le piccole onde di risonanza. Anche perché se non tornasse in campo un centro competitivo risulterebbe inevitabile una ricompattazione tra Pd e 5 Stelle in chiave inerziale, dalle parti dell’opposizione. Non diamo giudizi su questo, ma è la geometria ineluttabile della politica che lo racconta. A qualcuno potrà piacere. A molti altri no. Noi soltanto lo registriamo.