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“Dire che l’incontro tra Salvini e Orban non riguarda il governo è ridicolo”, commentava sintetico alla vigilia del summit un collaboratore del ministro degli Interni. Difficile dargli torto: il progetto a cui il premier ungherese e il vicepremier italiano alacremente lavorano chiama al contrario in causa precisamente il governo, e del resto Salvini ha gioco facile nel trascinare un M5S che una strategia politica internazionale non ce l’ha ma è traversato comunque da umori profondi anti Ue. Quella strategia europea invece Viktor Orban e Matteo Salvini ce l’hanno, identica e del resto concertata. E’ il molto che li unisce, al cui confronto ciò che li divide è robetta.
Quella divisione, sottolineata spesso per bollare di inconsistenza l’alleanza sovranista che si profila in Europa, ha un nome preciso: Trattato di Dublino. Come è possibile un’alleanza reale tra leader che hanno interessi opposti proprio sul fronte che per entrambi primeggia nell’agenda delle urgenze, quello dell’immigrazione? Come possono andare d’accordo un sovranista italiano che reclama la modifica di Dublino e insiste per le ricollocazioni dei richiedenti asilo in tutti i Paesi dell’Unione e un omologo ungherese che ha impedito più di ogni altro quelle ricollocazioni e che per impedire l’arrivo di immigrati dalla Serbia ha alzato un muro? Sarebbe in effetti impossibile se Salvini mirasse davvero, come il premier Conte, a rivedere Dublino. Ma non è affatto questo il suo obiettivo, consistente invece in quella blindatura dei confini esterni che va sotto il nome di “Fortezza Europa” sulla quale lui e Orban vanno invece perfettamente d’accordo. Come lo sono del resto gli altri tre Paesi del cosidetto “gruppo di Visegrad”, nato nel 1991 subito dopo lo sfaldamento del blocco orientale: Polonia, Repubblica Ceca e Slovacchia. Come lo è l’Austria guidata dal cancelliere Kurz, di fatto interna politicamente a Visegrad così come vorrebbe che lo diventasse presto Salvini.
L’obiettivo comune sono le elezioni europee, con il progetto che forse è un miraggio ma forse no, di mettere in campo una forza europea capace di superare il Ppe e modificare così profondamente i connotati dell’Europa. I leghisti chiamano il futuro gruppo “la Lega delle Leghe” ma il nome conta ben poco e la sostanza è già chira. Non si tratta più, insomma, di smantellare l’Europa ma di conquistarla, ridisegnandola sul modello ungherese messo a punto proprio da Viktor Orban.
Il leader che oggi contende addirittura la premiership europea ad Angela Merkel è partito dalla sinistra, dalla Gioventù comunista in cui militava ai tempi del Patto di Varsavia. Lui, nato nel 1973, sostiene di aver cambiato idea durante il servizio militare e in effetti tornato dalla naja fondo quella Alleanza dei giovani democratici, ( Fidesz), ribattezzata poi Unione civica ungherese, che è ancora oggi il suo partito. Si trattava negli anni ‘ 90 di una forza politica decisamente anticomunista ma per nulla di destra. Era al contrario liberale, fortemente schierata in difesa dei diritti civili, liberista ma senza esagerare in economia.
Nel corso del primo mandato da premier, tra il 1998 e il 2002, Orban perse per strada buona parte delle velleità libertarie e progressiste, mantenendo però intatto il credo economico. Il suo primo governo fu segnato dalle privatizzazioni e dall’adozione di politiche liberiste non meno che dai primi segnali di insofferenza verso le opposizioni e la liberà di stampa.
Sconfitto nel 2002, Orban è tornato al potere nel 2010 ma in vesti parzialmente diverse. Ha nazionalizzato i fondi pensione, messo tasse sui profitti privati delle aziende in alcuni settori chiave e sui redditi personali, modificato la Costituzione diminuendo il numero dei parlamentari e rendendo elementi centrali la famiglia e la religione cattolica. Ha adottato politiche sempre più ostili alla Ue, di cui pure l’Ungheria fa parte pur senza aver adottato l’euro, e sempre più ferree contro l’immigrazione. La sua propaganda contro Soros, indicato come responsabile dell’ondata migratoria tanto che la legge contro le Ong proposta dal premier viene definita ovunque “legge anti Soros”, ha assunto spesso toni di quasi esplicito antisemitismo anche se, allo stesso tempo, Orban è forse il più stretto alleato del premier israeliano Netanyahu che ci sia oggi in Europa. La censura ha colpito sia i giornali colpevoli di opposizione al regime che l’ “arte degenerata”, come il musical Billy Elliott, proibito perché incentivo all’omosessualità.
Nell’aprile scorso Orban ha vinto per la terza volta consecutiva le elezioni con una maggioranza vicinissima al 50% su un’affluenza molto alta. Oggi è uno dei leader principali del Ppe ma se riuscirà il progetto di dar vita a una forza europea sovranista ne sarà probabilmente uno dei leader principali con Kurz e soprattutto con Matteo Salvini che si candida a propria volta a guida del sovranismo europeo. Ma quale Europa il ministro degli Interni abbia in mente lo si può capire già oggi facilmente: guardando all’esperimento pilota dell’Ungheria di Viktor Orban.