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Quando nel luglio 2015 fu firmato a Vienna l’accordo tra l’Iran e i cinque membri permanenti del Consiglio di sicurezza dell’ONU più la Germania, per limitare e controllare l’azione di Teheran nel campo nucleare, l’attenzione dei media occidentali si concentrò sull’importanza storica della intesa raggiunta e sulla fondatezza o meno della dura reazione polemica di Israele.Il premier Netanyahu disse apertamente che era illusorio e pericoloso fidarsi delle parole degli ayatollah, che l’ipotesi di un Iran potenza atomica era ancora attuale e che di conseguenza Israele, per garantire la propria sopravvivenza, non sarebbe rimasto inerte, avrebbe agito. Per settimane si ipotizzo un ' intervento militare chirurgico e risolutivo'. Oggi, dopo l’uccisione di Solimani e la annunciata volontà di vendetta iraniana, nessuno è in grado di predire cosa avverrà. Se era solo probabile che Teheran avrebbe rilanciato il suo programma nucleare dopo che Trump nel 2018 lo aveva affossato, oggi, dopo la morte del suo alto esponente, è certo che lo farà. Non può non farlo.A tale proposito, oltre a nutrire la fondata preoccupazione di una escalation della tensione con gli Stati Uniti, gli europei sarebbe opportuno ricordassero come reagirono all’accordo di Vienna molti paesi arabi. La paura che Vienna fosse una riedizione di Monaco 1938, con Khamenei al posto di Hitler come scrissero i giornali sauditi, era largamente diffusa. E se l'occidente fosse stato più attento alle complesse dinamiche del mondo musulmano avrebbe dovuto capire perché il timore di un arsenale atomico a Teheran era in Arabia Saudita forte ( quasi) quanto in Israele. Perché la prospettiva che la spada dell’Islam fosse innalzata dagli ayatollah sciiti era inaccettabile per i dirigenti musulmani sunniti. Lo era nel 2015 e lo è ancora oggi e non solo in ragione delle sanguinose,fratricide dispute sulla ortodossia religiosa, ma soprattutto per le implicazioni di carattere geopolitico che una leadership iraniano sciita determinerebbe in tutta la Ummah ( comunità ) musulmana.Tutti sanno che la minoranza sunnita irachena era al potere con Saddam Hussein, mentre oggi il potere è, in buona parte del paese, nelle mani di dirigenti sciiti sostenuti attivamente dai fratelli iraniani. Situazioni analoghe caratterizzano il Libano degli hezbollah, la Palestina di Hamas, la Siria dei sostenitori alawiti di Assad. Paesi a larghissima maggioranza musulmana in cui molti già guardano a Teheran come garante di assetti ed interessi economici e politici che ben poco hanno a che fare con ... il successore del Profeta. L’Arabia Saudita è più estesa e più ricca di petrolio dell’Iran ma assai meno popolosa e militarmente forte. Anche per questo è il più affidabile alleato degli americani nel mondo arabo. Riad considerava l’Iraq di Saddam lo scudo che proteggeva il regno Saudita, dove si trovano le città sante di Mecca e Medina, dall’espansionismo iraniano- sciita.Cosa potrebbe accadere oggi che l’Irak è smembrato e sempre più influenzato dall’Iran, mentre l’imprevedibile inquilino della Casa Bianca comunica al mondo con un tweet di aver improvvisamente deciso di ritirare le truppe usa dalla Siria?Il timore dell Arabia Saudita verso un Iran più potente politicamente e militarmente è così forte che all’inizio del 2006, pochi mesi dopo Vienna, 47 prigionieri sciiti furono giustiziati nello stesso giorno e pubblicamente con l’accusa di terrorismo. Contemporaneamente da esponenti della famiglia reale fu fatta trapelare la volontà di acquistare ordigni atomici dal Pakistan sunnita. Una voce probabilmente falsa, ma è certo che poco tempo dopo l’ambasciata Saudita a Teheran fu data alle fiamme e da allora le relazioni diplomatiche tra i due paesi sono interrotte.Che nel prossimo futuro l’uccisione di Solimani possa provocare nel mondo mussulmano forti ripercussioni,è un ipotesi tutt altro che remota. Anche perché, in aggiunta a quanto sopra, è ormai evidente il ritrovato attivismo della Turchia, erede lontana ma sempre più nostalgica, della egemonia ottomana tra i fedeli di Allah. E infine c’è anche da chiedersi fino a quando resterà assente quel che resta dell’Isis o fino a quando resterà pacifico l’Egitto, dove solo il golpe militare del 2O13 ha posto fine alla leadership del radicale Morsi, esponente della Fratellanza mussulmana eletto dal popolo sovrano solo un anno prima....In conclusione: la decisione di Trump di uccidere Solimani può davvero cambiare molte cose, ma non è detto che sia solo l’occidente a dover far fronte alle imprevedibili novità che si avvicinano.