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Il presidente Giuseppe Conte nella conferenza stampa di stasera
Non temo di cadere, assicura Giuseppe Conte. Non ci sono alternative a questo governo però serve un salto di qualità, chiosa Nicola Zingaretti. Conte è finito, andiamo a votare in autunno, taglia corto Matteo Salvini. Tre elementi strutturali del confronto politico che - non tragga in inganno la felpatezza dei toni del segretario Pd - hanno una caratteristica: non si incastrano . O addirittura si escludono l’un l’altro. La ragione va ricercata nei meandri delle contraddizioni italiane. La più sbalorditiva delle quali è che ciascuno dei principali attori politici veste i panni di qualcun altro, rifiutando di indossare i propri. E dunque confondendo non solo gli elettori ma a volte perfino sé medesimi. Partiamo dai Cinquestelle. Si comportano come fossero ancora il partito di maggioranza relativa con una sequela di ministri che occupano i posti di primo piano della governance. Ma i loro consensi sono dimezzati e questo introduce un elemento di squilibrio permanente: non si capisce mai a nome di chi e con quanta forza parlino i titolari di dicastero, da Di Maio in giù. Mentre chi sta a bordo campo scalcia. Ora è annunciato l’ennesimo rientro in scena di Beppe Grillo. Sicuro che la dinamica pentastellata si riequilibrerà? Un discorso a rovescio vale per il Pd. E’ arrivato alla coabitazione con i grillini come junior partner, visti i voti raccolti e le vicende del Conte 1. Ora tende a comportarsi come il partito più forte, che vuole dettare la linea si sarebbe detto una volta. Ma è incastrato nelle pastoie dei numeri parlamentari e delle divaricazioni - un classico da quelle parti - tra leader e leaderini. Senza contare il macigno rappresentato dal premier. Che è arrivato a palazzo Chigi per una somma di circostanze senza alcun imprimatur delle urne, e però complice l’emergenza prima sanitaria e ora economica del Coronavirus, sempre più si comporta come se avesse ottenuto un viatico popolare tanto largo quanto strutturale. E neppure nell’opposizione si vestono i panni che spettano. Salvini si muove come il capo dei capi, ma la spallata al governo non arriva. Berlusconi non ha mai digerito la detronizzazine e cerca appena può di ribaltare i ruoli. Giorgia Meloni si gode i sondaggi sperando che siano l’abbrivio di una leadership insperata. Insomma ciascuno si maschera da altro da sé. Se fosse per partecipare ad una festa, sarebbe pure plausibile. Così non è, e la finzione dirada la fila al botteghino.