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Accusare la burocrazia di fermare il Paese con le pastoie procedurali è solo l’alibi di una classe di governo che non ha competenza nè esperienza nella gestione della cosa pubblica, e mira piuttosto a nascondere mancanze e debolezze scaricandosi delle responsabilità. Un corpo politico forte delle sue idee e delle sue azioni, che ha dimestichezza della macchina dello Stato, non teme la burocrazia ma se ne avvale. E per effetto del suo ruolo la sottopone alle sue direttive. Traccia la rotta e detta la linea.
È in assenza di queste doti che accade quanto sta accadendo: il sistema è bloccato, soffocato da una miriade di leggi che si accavallano, sempre più confuse e incomprensibili, spesso contraddittorie, a volte persino inapplicabili. È un meccanismo infernale che arreca danni ai cittadini e al tessuto produttivo del Paese, mettendo peraltro in difficoltà il funzionario pubblico, che quelle norme deve interpretare. Un effetto collaterale che innesca a sua volta un altro grave problema. Fuor di metafora, un funzionario in cattiva fede può sfruttare la situazione: la corruzione è il frutto avvelenato del ginepraio legislativo, e chi ha necessità di uscirne indenne può pensare di «patteggiare» per evitare che l’iter delle sue pratiche si fermi.
Nella maggior parte dei casi, ovviamente, non è così. Ma anche un onesto funzionario può arrecare danni, suo malgrado: trovandosi alle prese con quel ginepraio di norme, ed essendo preoccupato di cadere sotto la mannaia giudiziaria per i suoi atti, può infatti scegliere di non scegliere.
Ha ragione Massimo Cacciari quando afferma che un dipendente, per non incorrere in responsabilità penali o amministrative, deve stare attento a decreti di 250 articoli e 300 pagine di note applicative. E per evitare guai opta per il blocco della pratica. La colpa, allora, è comunque della burocrazia? No, perché la burocrazia non esiste più. Il suo dissolvimento iniziò nel 1997 con la legge Bassanini, che produsse nella Pubblica Amministrazione il caos, alimentato in seguito dalle leggi Frattini e Madia.
Così progressivamente è stata abolita la carriera nelle strutture dello Stato e si è posto fine alla meritocrazia: il funzionario pubblico che lavora alacremente per ottenere un avanzamento di ruolo, può essere infatti scavalcato grazie allo spoil- system, che è lo strumento con cui un ministro pro- tempore può esercitare il potere di nomina avendo ampi margini di discrezione, a prescindere dalle competenze.
Da anni ormai, e in questo periodo in special modo, la Pubblica Amministrazione si forma con dipendenti assunti per chiamata diretta. Perciò non regge la tesi sostenuta da certi magistrati, secondo i quali il vero cancro della corruzione si annida nelle strutture — nazionali o regionali — dimenticando che i governi e i governatori di turno ricorrono alle nomine proprio per tentare di sottomettere le gerarchie istituzionali.
Piuttosto, e si torna al punto di partenza, una classe politica incapace tende a nominare una classe dirigente di incapaci. E il combinato disposto della farraginosità delle leggi e dell’uso distorto dello spoil- system porta alla paralisi. Ministri, molto spesso poco competenti, si dilettano a produrre atti legislativi, frutto del lavoro di personale insediato dagli stessi, spesso a titolo di riconoscimento di un comune «eroico» trascorso scolastico.
Per esperienza personale ricordo che in passato il metodo applicato nella Pubblica Amministrazione era più semplice e più trasparente: completa autonomia nello svolgimento del lavoro e totale responsabilità personale. Era, per così dire, un’applicazione artigianale del sistema di qualità EMAS: se ci fosse stato un intoppo, si sarebbe saputo di chi era la responsabilità e di quale natura. Le gerarchie, che ovviamente esistevano, avevano una funzione di controllo.
Perciò è fondamentale che il cosiddetto iter burocratico — locuzione che incute ormai un sacro terrore — sia ridotto nei suoi passaggi: dal trattamento della pratica alla firma di un dirigente. Ecco il principio a cui il governo dovrebbe ispirarsi per il prossimo decreto Semplificazione.