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La recente decisione della Corte costituzionale tedesca, molto critica ma non ostativa a che la Banca Centrale Europea continui a immettere liquidità nell’eurozona, potrebbe essere una straordinaria opportunità da cogliere, per l’Europa stessa. La decisione della Corte di Karlsruhe non può e non potrà impedire le operazioni di quantitative easing disposte da Christine Lagarde, come è evidente dato che la Bce opera in piena autonomia, essendo tra l’altro l’unica istituzione comunitaria dotata di veri e pieni poteri, come tradizionale per la politica monetaria che nella sua lunga storia ha solo recentemente “aperto” ad alcune forme di accountability ( il dover render conto). E gli alti magistrati tedeschi ne sono pienamente consapevoli. Perché già una precedente sentenza, con la quale si tentó di ostacolare il QE di Mario Draghi, fu impugnata dalla Corte europea: i giudici di Karlsruhe dovettero prenderne atto, e quell’accettazione - per giunta in identica materia- è un punto che sembra smentire chi teme ( tra gli altri un grande esperto di politiche europee come Enrico Letta) che Karlsruhe stavolta possa ribellarsi, e questo sì ( è proprio il pericolo che l’ex presidente del Consiglio italiano paventa) potrebbe minare le istituzioni di Bruxelles, e la fiducia in esse. Soprattutto, i giudici costituzionali tedeschi sembrano essere consapevoli del limite europeo: nel comunicare la loro sentenza hanno non solo dato il loro pleonastico via libera al QE di Lagarde ( memori, dunque, delle bacchettate della Corte Ue che bloccó la sentenza contraria al QE di Draghi), ma si sono anche “scusati”: noi dobbiamo applicare la Costituzione tedesca, hanno detto. La quale Costituzione è molto diversa dalle altre Carte europee: fu di fatto scritta dagli americani nell’immediato dopoguerra ( come proprio dalle pagine del Dubbio ha recentemente ricordato il giudice costituzionale italiano Giuliano Amato), prevede il voto e la dissenting opinion ( cioè le decisioni non sono responsabilità collegiale, ma frutto di dialettica e voto tra minoranza e maggioranza). Soprattutto la Corte tedesca agisce, come quella americana, su ricorsi diretti. E in questo caso il ricorso avverso alla Bce era stato presentato - tra gli altri- anche dalla nuova destra xenofoba e post- nazista dell’AFD. Ma appunto, la sostanza della critica che Karlsruhe muove stavolta alla Bce è cruciale, e se venissero risposte concrete sarebbe uno straordinario passo avanti per la costruzione europea. Dicono infatti i giudici che la politica del QE è nei fatti politica economica. E non hanno tutti i torti, anzi: con il suo “bazooka” impugnato nell’emergenza della crisi asimmetrica del 2008- 2011 che rischiava di far saltare l’euro Mario Draghi supplì alla carenza di politica fiscale comune. Fece nei fatti politica economica. E questa non rientra nel mandato della Bce. Ecco, se invece si decidesse di ampliare il mandato, sul modello ad esempio della Federal Reserve americana, si sanerebbe una vistosa zoppìa ( come la chiamava Carlo Azeglio Ciampi): avere una moneta comune, avere una politica monetaria, ma non una comune politica economica. Basterebbe inserire nello Statuto della Bce il mandato preciso per la stabilità dei prezzi, e la possibilità di acquistare direttamente all’emissione i titoli degli Stati solvibili. E addirittura arrivare a permetterle, come è per la Fed americana, di comprare direttamente azioni delle imprese. Riformare la Bce in senso “americano” La servirebbe anche, in economie a produzioni e distribuzione fortemente integrate quali sono quelle europee, a stemperare la leadership che la Germania esercita, direttamente e anche attraverso le istituzioni europee, nelle impostazioni di politica economica continentali. A stemperare il rigorismo. Ecco, se la sfida lanciata da Karlsruhe venisse raccolta dai capi di Stato e di governo riuniti a Bruxelles, sarebbe il miglior esempio di eterogenesi dei fini.