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Mater semper certa est, pater nunquam. Lo stesso vale per l’aumento dell’Iva. Chi l’ha voluto per primo? A ben vedere, un aumento da 12 miliardi era stato deciso dal governo Gentiloni ( sostenuto dal Pd). Poi, il “Conte Uno” ( gialloverde) ha portato a 23 miliardi l’incremento atteso per il 2020, pur di vedersi bocciare la Finanziaria da Bruxelles. Ora il “Conte Due” ( giallorossi) dice di cancellare l’intervento.
Tant’è che il presidente del Consiglio esce a piedi da Palazzo Chigi per annunciare: «La prima bella notizia è che sterilizziamo l’incremento dell’Iva. I 23 miliardi sono stati trovati».
Anzi. Seconda bella notizia: il premier si fa prendere la mano e precisa che è sua intenzione ridurre l’Iva sulle bollette dal 10 al 5% e di abbassare all’ 1 per cento l’imposta su prodotti come il pane, il latte, la frutta fresca, eccetera.
Tuttavia chi immagina di trovare le parole del premier nella Nota di aggiornamento al Documento di Economia e finanza, discusso ieri dal Consiglio dei ministri, è destinato a rimanere deluso. Nessuna delle idee di Conte annunciate all’ombra della Colonna Antonina troveranno traduzione nel testo. Nel migliore dei casi, bisognerà attendere il 15 ottobre, data della presentazione della Legge di Bilancio.
Al contrario, al ministero dell’Economia ieri hanno lavorato fino a tardi per limare le formule lessicali, così da raccordare le indicazioni politiche di Palazzo Chigi con quelle tecniche. Non foss’altro perché, meno di 24 ore prima degli annunci di Giuseppe Conte, il ministro Gualtieri aveva anticipato l’esatto contrario. E cioè, che l’Iva avrebbe subito una rimodulazione. Che nel linguaggio del Mef vuol dire aumento selettivo delle aliquote. Al di là delle formule lessicali che verranno individuate ( forse solo nel tardo pomeriggio di oggi sarà disponibile la versione definitiva della Nota di aggiornamento), sono i numeri quelli che contano. E si trovano nel testo del Documento di economia e finanza, esattamente a pagina 43.
La tabella informa che il peso sul Pil delle imposte indirette ( Iva in massima parte) sarebbe passato dal 14,5 di quest’anno al 15,6% del 2020. In questo scarto di 1,1 punti di Pil ci sono i 23 miliardi di aumento dell’Iva, tutt’ora scritto nel bilancio dello Stato.
Per scoprire chi vincerà la partita bisognerà attendere le nuove tabelle. Se il dato che verrà pubblicato sarà più vicino al 14,5% ( lievemente aumentato per la crescita nominale del Pil e dalla presumibile quantificazione – ottimistica - della lotta all’evasione), avrà vinto Conte.
Se il dato, al contrario, sarà più vicino al 15,6% indicato nel Def per il prossimo anno, allora vorrà dire che l’avrà spuntata il ministro dell’Economia Gualtieri con la sua rimodulazione delle aliquote. E’ assai difficile, poi, poter immaginare una riduzione del peso dell’Iva su bollette, pane e latte, come annunciato dal capo del governo.
E per un motivo molto semplice.
L’Iva è la tipica imposta che l’Europa consente di maneggiare solo in aumento. E’ l’imposta in base al cui gettito si calcola il contributo di ogni Paese membro al Bilancio Ue.
Pertanto, la Commissione autorizza esclusivamente aumenti dell’Iva e mai una riduzione di aliquote: verrebbe meno una parte del gettito destinato a garantire le spese europee.
Ed è per queste ragioni che “Conte Uno” scongiurò nel dicembre scorso la procedura d’infrazione europea: con la promessa di un aumento del contributo italiano di 230 milioni alle casse di Bruxelles, conseguente ad un incremento Iva di 23 miliardi.
Ora “Conte Due” si rimangia quell’impegno, ma garantisce che il deficit rimarrà comunque intorno al 2,2%. In cuor suo sembra credere all’idea che la nuova Commissione potrà garantire quasi 20 miliardi di flessibilità all’Italia.
Paolo Gentiloni è senz’altro uno dei commissari esperti della Vor der Leyen, ma per i “miracoli” forse si deve ancora attrezzare.