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nello rossi renzi cordone
Il dottor Nello Rossi, direttore del periodico di Magistratura democratica, Questione Giustizia, sul recepimento della direttiva europea sulla presunzione d’innocenza ci dice: «Siamo di fronte a una rivoluzione che non mancherà di produrre effetti su più versanti».
Su questo giornale Violante ha detto: “Il testo europeo si riferisce alla presunzione d’innocenza, l’articolo 27 della nostra Carta parla di presunzione di non colpevolezza. Sono cose un po’ diverse”.
Nella riflessione degli studiosi e nell’elaborazione delle Corti le due presunzioni si sono progressivamente identificate. La distinzione originaria disegnava due cerchi concentrici. Nel cerchio interno la presunzione di non colpevolezza, che attiene essenzialmente al momento del giudizio e deve essere “vinta” e superata al di là di ogni ragionevole dubbio per giungere ad una condanna. Nel cerchio esterno, più ampio ed inclusivo, la presunzione di innocenza che ora opera a favore dell’indagato e dell’imputato dal momento iniziale del procedimento sino ad una pronuncia definitiva ma esplica i suoi effetti anche all’esterno del processo, nella sfera mediatica e nel rapporto tra l’imputato e tutte le “autorità pubbliche” che si pronunciano sul suo caso giudiziario.
La norma modifica in parte il dl n. 106/ 2006: eppure previsioni per frenare il protagonismo di certi sostituti sono state disattese forse anche perché i Procuratori non hanno fatto le dovute segnalazioni ai Consigli giudiziari.
È giusto responsabilizzare maggiormente i procuratori, chiamandoli ad intensificare il controllo su eventuali rapporti impropri dei sostituti con la stampa. Sarebbe bene però rinunciare a battere strade rivelatesi impraticabili. Penso al divieto di menzionare i sostituiti titolari dei procedimenti. È rapidamente caduto in desuetudine non per una deliberata e prava volontà di disapplicarlo ma perché si è rivelato irrealistico. È velleitario impegnarsi a non “nominare” magistrati che sottoscrivono un gran numero di atti e richieste e il cui ruolo nel procedimento è ben noto negli uffici giudiziari, ai difensori ed ai giornalisti, ai quali non può certo essere imposto di “non fare nomi”. A mio avviso quel divieto si pone anche in controtendenza rispetto all’esigenza che tutti i pm assumano piena responsabilità professionale, sociale, culturale per i provvedimenti che adottano o per le richieste che formulano al giudice.
Il recepimento incide solo sulla magistratura. E la stampa?
Attenzione alle sottovalutazioni. Siamo di fronte a una rivoluzione che non mancherà di produrre effetti su più versanti. Il decreto legislativo si rivolge in prima battuta ai magistrati e ai dirigenti delle forze di polizia ma vieta un anticipato stigma di colpevolezza anche a tutte le altre “autorità pubbliche” come ministri, funzionari, dirigenti di enti e di agenzie pubbliche. A tutti questi soggetti l’imputato potrà indirizzare una richiesta di rettifica e, ove questa manchi, potrà ricorrere al giudice per ottenere un ordine giudiziale di rettifica. Si dà vita ad un rapporto nuovo e paritario tra l’imputato e i pubblici poteri e si afferma il principio che c’è un “onore” dell’imputato presunto innocente che non può essere violato impunemente. La novità inciderà perciò anche sui media, abbassando sensibilmente la soglia oltre la quale vi è diffamazione e spostando la frontiera della tutela della reputazione.
Qual è il suo giudizio sull’atto motivato con cui dovranno essere giustificate le conferenza stampa?
Se il governo raccoglierà l’indicazione delle Camere, la motivazione degli uffici dovrà essere estremamente sintetica: un paio di righe, sufficienti a rappresentare gli specifici motivi della scelta di rendere conto di un procedimento. Inoltre bisognerà mettersi d’accordo su che cos’è una conferenza stampa. Non necessariamente un evento affollato e clamoroso ma più semplicemente un incontro con più giornalisti, preceduto da un avviso rivolto, senza ricorrere a canali privilegiati, all’intera platea dei media potenzialmente interessati.
Condivide la preoccupazione delle Camere penali per cui tutto è concentrato nello stesso soggetto, ossia le Procure: fare le indagini, stabilire la rilevanza pubblica, indagare per eventuale diffamazione?
Una elencazione suggestiva; ma se stiamo aderenti alla realtà vediamo solo un ufficio giudiziario – la Procura della Repubblica – che, per legge, ha il compito di coordinare le indagini e di decidere se e come darne informazione. I procedimenti per diffamazione hanno un’altra storia e un altro percorso: in essi contano solo le notizie, vere o false, e i commenti, critici o ingiustificatamente offensivi, riguardanti una parte del procedimento e non il livello di pubblicità per cui ha optato la Procura.
Non si può essere indicati come colpevoli in determinati atti che riguardano l’indagine e il processo. Che ne pensa?
Fino alla sentenza definitiva tutti gli atti di un processo, unilaterali o in contraddittorio, contengono conoscenze e convincimenti solo relativi, che potranno essere superati e corretti. Perciò la soluzione migliore per rispettare la presunzione d’innocenza sarebbe quella di sottolineare, in premessa degli atti nei quali ci si esprime sui profili di colpevolezza, che le argomentazioni del giudice sono svolte in una specifica fase del procedimento e che i suoi convincimenti sono espressi “allo stato degli atti”. Così si lascerebbe il giudice libero di motivare, sollevandolo da acrobazie e da ipocrisie che, tra l’altro, se non ben maneggiate potrebbero incidere negativamente sulla tenuta logica e sulla coerenza della sua motivazione.
L’onorevole Costa si è battuto per introdurre la questione del diritto al silenzio.
Nel nostro ordinamento processuale il diritto dell’imputato al silenzio è rispettato, né l’Unione ha mai avanzato dubbi o rilievi su questo aspetto. L’onorevole Costa si concentra su un aspetto successivo al processo penale: il rilievo attribuito da alcuni giudici al silenzio dell’imputato al fine di negare il suo diritto alla riparazione per ingiusta detenzione. È una giurisprudenza che si riferisce al caso limite del silenzio che deliberatamente svia e depista, e coglie in questo atteggiamento una sorta di concorso di colpa. Non mi sembra irragionevole tener conto di queste ipotesi limite quando è in gioco un risarcimento del danno. L’essenziale è che il silenzio dell’imputato non abbia alcuno spazio nel giudizio sulla colpevolezza.
Per quanto riguarda i ricorsi/ rettifiche che l’indagato/ imputato può fare, non si corre il rischio che solo quelli più attrezzati possano avviare procedimenti contro i magistrati?
Lei tocca un punto dolente che si ripresenta in molti passaggi del nostro processo penale. Chi ha mezzi economici e cultura fruisce di garanzie che restano di fatto inattingibili dagli imputati economicamente e culturalmente più deboli. Nel processo si può sperare che il giudice e lo stesso pm operino per temperare gli effetti di tale diseguaglianza ma ciò non vale per il procedimento di rettifica e di ricorso al giudice a tutela della presunzione d’innocenza. Se nella prassi questo problema si rivelerà grave occorrerà provvedere.