Raffaele Lombardo non può non fare un tuffo nel passato nel commentare la fine della propria vicenda giudiziaria, durata oltre dieci anni. La Corte di Cassazione ha depositato due giorni fa la sentenza con cui il fondatore del Movimento per l’autonomia è stato assolto in via definitiva dalle accuse di concorso esterno e di corruzione elettorale con l’aggravante di aver favorito la mafia. Il “patto” immaginato e sostenuto dall’accusa fra l’ex governatore siciliano e Cosa nostra non è mai stato provato. Un successo per i difensori di Lombardo, gli avvocati Vincenzo Maiello e Maria Donata Licata, che ha contribuito in maniera rilevante all’evoluzione giurisprudenziale del reato di concorso esterno in associazione mafiosa. «La Suprema Corte – commentano i due penalisti – ribadisce un principio di diritto importante in tema di concorso esterno nel reato di associazione mafiosa mediante patto elettorale politico mafioso».

I giudici della Sesta sezione penale di Piazza Cavour hanno restituito un po’ di serenità all’ex presidente della Regione Siciliana, ma resta tanta amarezza per la fine di un sogno politico che voleva aprire una fase nuova per il Sud e per l’Italia. Una fine ingloriosa provocata, come sottolinea Raffaele Lombardo, da «un’aggressione mediatica, iniziata nel 2010, che, secondo uno schema collaudato, ha preceduto il processo».

Dottor Lombardo, con il deposito della sentenza della Cassazione è stata scritta la parola fine sulla sua vicenda giudiziaria. Come si sente?

Non riesco a provare né soddisfazione, né sollievo, semmai una grande amarezza. La mia vicenda giudiziaria ha investito la mia vita e mutato la storia della mia terra. Nel marzo del 2012 il gip dispose una imputazione coatta rispetto alla richiesta di archiviazione della Procura, che argomentava come non ci fossero gli elementi per sostenere l’accusa, e aveva ragione. Mi dimisi da presidente della Regione e una stagione di radicali riforme ebbe termine.

Le indagini e i processi hanno messo in piedi un teorema, smontato pezzo per pezzo dai suoi avvocati Vincenzo Maiello e Maria Licata. La sua difesa ha eliminato quel “troppo” e quel “vano” dell’accusa, elementi che hanno contribuito a distruggere la sua carriera politica. Lei è stato disarcionato mentre guidava la Regione Siciliana. Un danno incalcolabile?

Un danno incalcolabile e aggiungo irreparabile, per la mia reputazione, il mio onore, la mia famiglia, la mia iniziativa politica. Nel 2005 avevo fondato il Movimento per l’autonomia, la Sicilia è una Regione autonoma, grazie al suo Statuto speciale, che dal 2010 vive anche se la sua spinta propulsiva si è bloccata, con un grave danno per il mio popolo.

È facile dare del “mafioso” a un politico?

Conviene agli avversari ed eccita i populisti e una certa antimafia di facciata. Devo dire che la gente che mi conosce d’antica data e che conosce i miei familiari, le mie frequentazioni, i miei discorsi e le mie azioni, non ci ha mai creduto.

Lei fece della lotta alla mafia un punto imprescindibile dell’attività politica e istituzionale. La Giunta Lombardo poteva contare su importanti personalità…

Senza clamore, facendo il mio dovere, rispettando le persone e osservando le leggi, senza mai farmi contaminare dai pochi di buono presenti tra migliaia di uomini e donne che ho incontrato e ascoltato. Non sono un politico nominato e collocato nel collegio sicuro. Sono stato preferito, sono stato eletto. Primo in Italia per gradimento da presidente della Provincia di Catania, nel quinquennio 2003- 2008, primo da presidente della Sicilia, dal 2008 e fino all’aggressione mediatica del 2010, che, secondo uno schema collaudato ha preceduto il processo.

Magistrati, da Massimo Russo a Caterina Chinnici a Giovanni Ilarda, docenti universitari, da Gaetano Armao a Mario Centorrino, prefetti, stimati professionisti, hanno fatto parte di una Giunta, credo, senza molti eguali nella storia della Sicilia degli ultimi decenni.

La sua vicenda dimostra che con alcuni teoremi una persona può essere distrutta nel privato e sul piano politico, se ricopre determinati ruoli. Si possono stravolgere gli assetti democratici. Ma ritiene che il suo particolare caso sia più unico che raro?

È così. Mi auguro che se ne tragga spunto per correggere la devianza, ma non mi faccio soverchie illusioni.

Anche nei suoi confronti la gogna mediatica ha lavorato tanto. Qual è il ricordo più brutto?

Il fatto che ricordo con maggiore amarezza e sconcerto è stato “l’avviso di garanzia a mezzo stampa”, lanciato dal quotidiano Repubblica il 29 marzo 2010 e, paradossalmente, smentito dalla Procura. Ancora più sconcertante fu il seguito. Ad aprile, lo stesso quotidiano trasmetteva “l’avviso di arresto”, che, ancora una volta, veniva smentito dalla Procura. Ancora, mentre stavo maturando la scelta di dimettermi, inseguito dal susseguirsi altalenante di queste notizie, successivamente la Procura, nell'ottobre del 2011, chiedeva l’archiviazione. Incredibile, ma vero.

Continua a seguire con attenzione la politica? Il sogno di una forza politica autonomista, in grado di guardare soprattutto a Sud, è realizzabile?

Impossibile abbandonare la politica. Ho iniziato a vent’anni nelle aule universitarie. Ma oggi non è in cima, né l’unico dei miei pensieri. L’autonomia e le sue potenzialità per la Sicilia sono di vitale importanza, se coniugate come assunzione di responsabilità e come impegno delle nostre sterminate risorse, non se spalancano la strada all’assistenzialismo e al saccheggio. Confido che una generazione di giovani possa raccogliere il testimone. Conto di aiutarli con una fondazione che assicuri studio, ricerca, formazione.

Il presente e il futuro di Raffaele Lombardo li vede ancora in politica?

Anche in politica, ma futuro, presente e passato sono nelle mani di Dio. Ci credo. È stata la chiave per aprire tante porte soprattutto negli ultimi anni.