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IMAGOECONOMICA
«Il fatto che quasi tutti i magistrati siano iscritti all’Anm è una circostanza veramente strana e inspiegabile», afferma Sabino Cassese, giurista tra i più ascoltati nel dibattito pubblico, già ministro della Funzione pubblica e giudice della Corte costituzionale.
Professore, un tema spesso oggetto di discussione in materia di giustizia riguarda certamente il ruolo delle correnti all’interno della magistratura. Hanno davvero il potere che ormai viene loro attribuito dalla gran parte degli analisti? Ed è vero che, pur essendo associazioni private, esercitano un fortissimo condizionamento presso il Consiglio superiore della magistratura? O si tratta solo di una esagerazione?
Le correnti sono nate come forme organizzative interne tra i magistrati e hanno avuto per numerosi decenni un compito limitato al dibattito culturale. Hanno poi, invece, sviluppato un’altra funzione, anch’essa interna, quella di tramite per le aspirazioni di carriera dei magistrati, per i trasferimenti, le valutazioni, le promozioni, le assegnazioni di sede, e così via. Sono diventate, quindi, organismi con funzione corporativa, e hanno portato alla perdita di quel compito imparziale che il Consiglio superiore della magistratura deve svolgere, quale scudo nei confronti di condizionamenti esterni. Parliamo di condizionamenti che, influendo sulla carriera dei magistrati, sono suscettibili poi di riverberarsi anche sulla loro funzione. In sostanza, quindi, la rappresentanza dei magistrati all’interno del Csm aveva inizialmente uno scopo di protezione e tutela nei confronti di interferenze esterne, e successivamente si è trasformata, svolgendo una funzione di catena di trasmissione di esigenze personali, spesso molto apprezzabili, da parte della magistratura. Questo spiega, come detto, anche la circostanza veramente strana, e inspiegabile in altri modi, che quasi tutti i magistrati siano iscritti all’Anm.
Il sorteggio per l’elezione dei componenti togati del Csm è oggi l’unica soluzione per risolvere, come sostiene il guardasigilli Carlo Nordio, il problema della “degenerazione” delle correnti? Cioè della loro capacità di condizionare, impropriamente, i procedimenti di nomina dei magistrati negli incarichi?
Gli studi sull’uso del sorteggio nell’ambito del diritto pubblico mostrano che questo è lo strumento per rompere le maggioranze precostituite. Il sorteggio conferisce a qualunque magistrato eguali chances di far parte del Consiglio superiore della magistratura. In questo modo, l’organo diventa di nuovo un organo di ponderazione, esame e valutazione della carriera dei magistrati.
Dall’alto della sua esperienza, un magistrato che non è iscritto ad alcuna corrente e che quindi non è legato a un determinato gruppo associativo potrebbe essere in qualche modo “isolato” da parte dei colleghi e penalizzato dal Csm? Oppure la circostanza è indifferente e non c’è alcun condizionamento?
Non parlerei di isolamento, ma certamente la circostanza che all’Associazione nazionale magistrati aderisca il 96 per cento circa dei magistrati mostra quanto sia importante il ruolo che lo strumento associativo, articolato in correnti, svolge nella funzione interna che prima ho illustrato. Con l’affermarsi dell’idea sbagliata che vi sia un autogoverno della magistratura, si è aggiunta una seconda funzione, quella della rappresentanza del corpo della magistratura nei confronti degli altri poteri dello Stato: un fenomeno piuttosto singolare, perché si verifica solo per la magistratura e non per gli altri corpi dello Stato, come, ad esempio quello amministrativo.
Un altro tema ricorrente riguarda invece la presenza dei laici al Csm e il loro ruolo. I componenti laici rivendicano l’importanza della propria funzione, evidenziando come, senza di loro, Palazzo Bachelet diventerebbe una sorta di “succursale" dell’Anm. Alcuni laici però affermano anche in modo molto diretto di sentirsi “ininfluenti”,dal momento che il loro numero è pari alla metà di quello dei togati, e in assenza dei voti determinanti di questi ultimi, risulta assai difficile, per la componente non magistratuale, riuscire a imporre una qualsiasi decisione. I progetti di riforma che puntano ad aumentarne il numero sono duramente contestati dai togati, che vi scorgono la volontà della politica di controllare la magistratura. Dove è la verità?
La Costituzione, quando ha voluto assicurare indipendenza e imparzialità, ha previsto che i titolari degli organi avessero una molteplicità di provenienze. L’esempio maggiore è quello della Corte costituzionale, con un terzo dei componenti eletto dal Parlamento in seduta comune, un terzo nominato dal presidente della Repubblica, e un terzo eletto dalle supreme magistrature. La diversa provenienza consente un dialogo tra una varietà di esperienze e un controllo reciproco, che nel caso della magistratura e dell’organo che la amministra è accentuato dalla presenza del presidente della Repubblica come presidente del Csm. Noti che la norma secondo la quale il presidente della Repubblica presiede il Consiglio superiore della magistratura è l’unica norma della Costituzione ripetuta ben due volte nel testo costituzionale, agli articoli 87 e 104. Questo riflette la configurazione del presidente della Repubblica come organismo di vertice che partecipa di tutti e tre i poteri, quello giudiziario, quello legislativo e quello esecutivo.
Prima di concludere mi permetta una domanda un po’ insolita. Anche in questa intervista abbiamo parlato di “degenerazione" delle correnti della magistratura riferendoci - ovviamente - a quella ordinaria. Come mai le altre giurisdizioni non hanno i problemi di quella ordinaria in questo ambito? Sono “immuni" oppure ciò che accade alla Corte dei Corti o al Consiglio di Stato non fa notizia e non appassiona i giornali?
La Corte dei conti e il Consiglio di Stato hanno non solo funzioni giurisdizionali ma anche funzioni di controllo e consultive, e quindi è difficile fare un paragone. Tuttavia, alcuni dei problemi che ho indicato si presentano anche per la magistratura contabile, con un acme quando, qualche tempo, fa gli organi di vertice hanno chiesto al governo di “aprire un tavolo di confronto”, cioè si sono autorappresentati come sindacati nei confronti di quello Stato di cui essi invece sono parte.