Neuroscienze e diritto: come cambia il concetto di imputabilità e di conseguenza come dovrebbe essere diversamente espiata una pena. Ne parliamo con lo psichiatra di fama mondiale Pietro Pietrini, Ordinario presso la Scuola IMT Alti Studi Lucca.

Professore, quali sono gli ambiti di intervento delle neuroscienze nelle aule di tribunale?

Il ruolo delle neuroscienze è cercare di dare il più possibile una base oggettiva, un correlato misurabile alle conclusioni che si raggiungono in termini di imputabilità. In sintesi: ridurre il margine di soggettività. Questo perché in psichiatria forense manca ancora, rispetto alle altre branche della medicina, la possibilità di avere un riscontro oggettivo. Oggi, ad esempio, grazie alle moderne tecniche neuroradiologiche, abbiamo la possibilità di misurare la densità neuronale in aree del cervello che sono cruciali per il controllo degli impulsi.

Quanto nel nostro Paese i giudici sono pronti ad accogliere le tesi difensive che tendono, attraverso le nuove scoperte, ad evidenziare la minorata capacità di intendere e volere?

Non saprei darle delle statistiche, perché non ho l'esperienza su tutti i giudici. Diciamo che dipende da caso a caso. Noi abbiamo incontrato giudici molto aperti, pensi alla sentenza di Como: Stefania Albertani fu dichiarata colpevole con rito abbreviato, per omicidio e occultamento di cadavere della sorella, e per il doppio tentativo di uccisione di entrambi i genitori. Il Gip di Como, Luisa Lo Gatto, le riconobbe un vizio parziale di mente, anche per la presenza, dal punto di vista genetico, di fattori «significativamente associati ad un maggior rischio di comportamento impulsivo, aggressivo e violento».

Secondo lei i giudici si lasciano influenzare anche dal “tribunale del popolo” che non è pronto ad accettare una detenzione in una Rems invece che in carcere, che per molti erroneamente è un hotel a 5 stelle?

Facciamo una premessa: una perizia serve a stabilire se il soggetto è bad or mad, cattivo per scelta o perché malato, incapace di fare altrimenti. Detto ciò, dinanzi ai crimini anche più efferati, ai crimini più odiosi, noi dobbiamo porci comunque sempre nel rispetto della Costituzione e del codice penale. Quindi se la persona che ha commesso anche il crimine più orrendo l’ha fatto in presenza di una incapacità di intendere o di volere non è imputabile e non può andare in carcere. Tuttavia succede che l’efferatezza del delitto commesso, la brutalità del delitto o la stessa attenzione per la vittima, ad esempio una neonata o una giovane donna, possano indubbiamente condizionare il comune sentire e il sentire di tutti, anche dei giurati e degli stessi giudici togati. Il problema è che c'è una percezione nella società ma anche tra gli addetti ai lavori - periti, consulenti e gli stessi magistrati - per i quali esistono individui che sono così pericolosi che vanno per forza rinchiusi in carcere e condannati all’ergastolo. Ma così il nostro sistema giuridico, costituzionale fallisce.

Ci spieghi meglio.

Se mentre prima, quando esistevano gli ospedali psichiatrico-giudiziari, la pena veniva percepita da tutti - gente comune e addetti ai lavori - addirittura un quid pluris, un aggravamento, rispetto a una comune detenzione in carcere, adesso essere rinchiusi in una Rems significa non essere puniti abbastanza. Per molti la Rems viene considerata quasi alla stregua di un centro benessere, senza che riesca a tutelare, sotto il profilo custodiale, la società da una persona pericolosa. In effetti la Rems non ha addetti alla sicurezza, non vi sono agenti di Polizia Penitenziaria. Vi è solo la vigilanza all’ingresso, che controlla i documenti di chi entra ed esce, ma che non potrebbe neppure intervenire in caso di bisogno. In altre parole, se qualcuno ad esempio cerca di evadere, la vigilanza si limita a chiamare le forze dell’ordine. Ma c’è di più. Se una persona in Rems si rifiuta di assumere le terapie, il personale non può far altro che ricorrere al TSO (Trattamento Sanitario Obbligatorio) che deve essere eseguito in ambiente ospedaliero esterno. Infatti, nonostante una sentenza della Corte Costituzionale (n. 22 del 2022) abbia riconosciuto alla Rems la facoltà di somministrare terapie anche contro la volontà dell’individuo, di fatto mancano le norme per poterlo fare. Ci sono pazienti in Rems ai quali tutti i mesi viene fatto un TSO per poterli così portare in SPDC (Servizio Psichiatrico di Diagnosi e Cura) dove viene loro somministrato il neurolettico depot.

Con queste limitazioni – anche tralasciando il ben noto problema delle liste di attesa, che vede attualmente un numero di domande doppio rispetto ai posti disponibili – si comprende come di fronte ad autori di reato malati di mente e con conseguente elevata pericolosità sociale, il carcere possa apparire come la soluzione di miglior garanzia e tutela della comunità. Tuttavia, il carcere non è veramente in grado di gestire e di guarire un malato di mente. C'è una proposta intermedia che è quella che dice di predisporre dei centri psichiatrici in alcuni carceri, dove tenere gli individui che sono autori di reati gravi e che sono malati di mente. Questo secondo me è un ritorno all'ospedale psichiatrico giudiziario, far rientrare dalla finestra ciò che è uscito dalla porta. Ma è addirittura peggiorativo, perché di fatto non può garantire le necessità terapeutiche e riabilitative di queste persone. La psichiatria forense non può abdicare a quello che è il suo scopo, semplicemente per motivi – diciamo - di ordine pubblico. Così come la magistratura non dovrebbe mai dimenticare cosa prevede l’articolo 27 della Costituzione.

Non si può periziare e giudicare di pancia?

L’applicazione del codice deve andare oltre l'emotività, altrimenti non siamo in uno Stato di diritto. Quando io sento dire che viene invocata una pena esemplare, mi chiedo che cosa voglia dire. La pena esemplare contrasta con la definizione di Stato di diritto. Pensi ai casi Pifferi, Turetta, Neumair: cosa dobbiamo fare con queste persone? Impiccarle sulla pubblica piazza? Per quanto esecrandi possano essere i reati commessi, tutti hanno diritto al giusto processo e alla pena prevista dal Codice.

Un terzo degli italiani vorrebbe vedere ripristinata la pena di morte.

Senza neppure entrare in considerazioni morali ed etiche, le statistiche, ad esempio quelle che vengono dagli Usa, ci dicono che la pena capitale non rappresenta una deterrenza. Così come non è un deterrente l'incremento delle pene. Io ho periziato diversi indagati e imputati in oltre 20 anni di carriera: non ho mai trovato una persona che mi abbia detto “se avessi saputo che sarei stato condannato a 30 anni non avrei ucciso mia moglie”. La perdita del controllo e la perdita della capacità di autodeterminarsi non sono comunque condizioni in cui le conseguenze possono fare da deterrente.

Fratelli d'Italia ha presentato una proposta di legge per esonerare dall'imputabilità solo i casi di psicosi.

È un ritorno indietro. Prima del 2005, della famosa sentenza Raso, era così. La non imputabilità veniva riconosciuta solo nel caso delle psicosi maggiori - psicosi schizofrenica, psicosi depressiva - cioè laddove lo stato di mente alterato dell'individuo era tale da non fargli percepire i dati di realtà, propriamente interpretarli e di conseguenza agire. Quindi lo psicotico che pensa che stiano venendo gli extraterrestri a prenderlo e deve sacrificare la propria figlia per salvare il mondo dagli extraterrestri. È una tendenza che c'è nella psichiatria; molti colleghi la pensano così e dinanzi a disturbi di personalità, pur riconoscendone la presenza, ne danno una lettura tale da escludere il vizio di mente.