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Nell’ambito del rinnovato, e quanto mai attuale, dibattito sulla condizione della giustizia civile in Italia si registra il recentissimo intervento dello studio intitolato “Come ridurre i tempi della giustizia civile”, di Mario Barbuto, Carlo Cottarelli, Alessandro De Nicola e Leonardo D’Urso, licenziato dall’Osservatorio sui Conti pubblici italiani dell’università Cattolica del Sacro Cuore di Milano il 5 giugno e presentato su queste colonne nell’edizione del giorno successivo. Tale documento esordisce con una pregevole analisi sulle condizioni critiche in cui versa la giustizia civile in Italia ( eccessiva durata media dei processi; eccessivo numero di giudizi pendenti e di sopravvenienze annuali), elaborata sulla scorta del rapporto Cepej ( European Commission for the Efficiency of Justice) del Consiglio d’Europa ( anno 2016) e dei successivi dati del ministero della Giustizia e relativi aggiornamenti per il periodo 2016/ 2018. Su di essa si fondano varie ed articolate proposte di tipo organizzativo, che mirano alla razionale allocazione delle risorse umane e alla revisione dei criteri per la progressione di carriera dei magistrati, per i giudizi di idoneità che li riguardano e per la nomina a funzioni direttive. Degne di considerazione sono anche le idee innovative sui metodi di monitoraggio e di gestione efficiente del caseflow, sulla rilevazione e diffusione delle best practices organizzative e lavorative in uso presso i Tribunali più virtuosi e - più in dettaglio - sui presupposti degli incentivi economici ex articolo 37 del DL 6 luglio 2011 n. 98, sugli interventi specifici per i Tribunali più lenti, sull’introduzione di strumenti adeguati di risoluzione stragiudiziale delle controversie e di misure una tantum per ridurre la consistenza dell’arretrato. Un lavoro propositivo, a tutto tondo sulle strutture giudiziarie della Repubblica. Lo studio prende in esame anche il disegno di legge, di origine governativa, recante “Delega al Governo per l’efficienza del processo civile e per la revisione della disciplina degli strumenti di risoluzione alternativa delle controversie”, presentato nello scorso mese di gennaio presso il Senato della Repubblica ( atto n. 1662), criticandolo in quanto «pur proponendo alcuni provvedimenti condivisibili, nel complesso il disegno di legge è insufficiente a ricondurre la durata dei processi civili nelle medie europee non affrontando in maniera incisiva molti dei profondi problemi del funzionamento del sistema giustizia». L’appunto coglie nel segno, perché - in effetti - il tentativo di rendere efficiente il nostro processo civile risulta essenzialmente affidato ad una serie di operazioni «chirurgiche» sulle disposizioni del codice di procedura civile, senza una riflessione più ampia in ordine al sistema giustizia, alla pletora dei riti vigenti e all’organizzazione del lavoro nei Tribunali. Anche le censure in merito alla «revisione della disciplina degli strumenti di risoluzione alternativa delle controversie» ( seconda parte del titolo del disegno di legge) suonano calzanti e puntuali, posto che le novità vanno esattamente nella direzione opposta rispetto a quanto i dati delle sperimentazioni degli ultimi anni dimostrano in tema di mediazione e di negoziazione assistita, depotenziando nel complesso tali istituti di Adr ( nel saldo negativo tra materie sottratte e materie aggiunte) e non incentivandone adeguatamente l’utilizzo ( per esempio, con le facilitazioni fiscali - di diversa natura da più parti invocate). Ma gli apprezzamenti finiscono qui, perché sul piano delle proposte di matrice prettamente tecnico- processuale lo studio dell’Osservatorio suscita diverse e notevoli perplessità. Innanzitutto, non convince l’adesione incondizionata alla soluzione adottata dal disegno di legge governativo riguardo la tipologia dell’atto introduttivo dell’azione di cognizione ordinaria ( il ricorso anziché l’atto di citazione), senza la previsione di un termine perentorio per la fissazione della prima udienza ( in luogo del quale lo studio propugna una disposizione di mera «vigilanza» modellata sull’articolo 23 disp. att. c. p. c.). Come pure non persuade l’opzione di sottoporre tutte le cause civili monocratiche, sia in primo grado sia in fase in appello, al rito del lavoro ( in versione appositamente adattata) e di applicare detto rito, per le cause riservate al collegio, a richiesta dell’attore ( formulata nell’atto introduttivo) e a condizione che non vi sia opposizione da parte del convenuto. Il tutto senza una riflessione approfondita sul regime delle preclusioni e sugli oneri di allegazione dei fatti ( primari e secondari) e di deduzione dei mezzi istruttori che ne conseguono, nell’una e nell’altra ipotesi. Secondariamente, non può essere in alcun modo condiviso il drastico ridimensionamento del ricorso per cassazione ( quasi una soppressione surrettizia), che l’Osservatorio vorrebbe limitare ai «casi attualmente affidati alle Sezioni Unite», né si avverte la necessità di istituire ( «in alternativa, o in aggiunta» ) un ( nuovo e ulteriore) «organo giurisdizionale di supporto alla Corte di Cassazione che operi sotto la direzione del Primo Presidente per trasferire allo stesso la funzione di filtro che adesso viene esercitata dalla stessa Corte di Cassazione con impiego di risorse proprie» competente a dichiarare in tempi brevi l’inammissibilità «dei ricorsi palesemente infondati su motivi di merito o fondati su principi di diritto contrari a costante giurisprudenza della Corte di Cassazione contro i quali non siano prospettati argomenti solidi». Il documento dell’Osservatorio, passando poi a trattare il tema della domanda di giustizia, si propone di individuare misure in grado di «disincentivare, sia per i clienti sia per gli avvocati, il ricorso in giudizio e la resistenza temeraria», proponendo a tale proposito, tra l’altro, di «portare il contributo unificato per l’inizio di una causa alla media europea» e di «condannare l’attore soccombente in appello o in cassazione a pagare un importo pari al quadruplo del contributo unificato ( a favore dello Stato)». Accorgimenti deflattivi, di carattere dissuasivo e sanzionatorio, per un verso anacronistici ed incongrui ( il contributo unificato è lievitato oltremisura nel corso degli anni ed è già percepito dagli operatori come un onere eccessivamente gravoso, soprattutto in alcune materie) e, per altro verso, da rifiutare recisamente, siccome costituenti ( ulteriori) ostacoli frapposti all’accesso alla giurisdizione e un ingiusto limite al diritto di azione costituzionalmente garantito ( al pari del diritto di difesa). Perché in uno Stato di diritto la giustizia civile è un presidio di democrazia ed è ( e deve essere) per quanto possibile - patrimonio di tutti. * Consigliere Cnf, coordinatore commissione Diritto civile e Procedura civile