«In gioco c’è l’equilibrio tra i poteri. Ed è sciocco usare la giustizia come un manganello: quello che oggi capita a destra domani succederà a sinistra. Lo dico dai tempi di Mani pulite». Giovanni Pellegrino non è di certo un fan di Giovanni Toti, l’ex presidente della Liguria indagato per corruzione e finanziamento illecito che ha lasciato la carica tornando in libertà dopo tre mesi trascorsi agli arresti domiciliari. Ma la sua vicenda giudiziaria, racconta al Dubbio l’ex parlamentare del Pci-Pds, sembra assurda: «Ritenere che si possa commettere corruzione con finanziamenti dichiarati mi pare una forzatura, un tentativo di rendere la politica una categoria evanescente». Il punto, racconta il politico che presiedette la Giunta per le immunità del Senato nel pieno di Tangentopoli, è quello dei finanziamenti alla politica. «Bisogna tornare ai partiti organizzati, basta con la sciocchezza della “casta”.

Toti ha fatto la cosa giusta a dimettersi? O, come dicono alcuni, ha ceduto alle pressioni della magistratura?

Distinguerei due cose: l’opportunità delle dimissioni e la debolezza dell’accusa. La regione Liguria era in una situazione difficile, perché era acefala, senza un presidente e quindi indubbiamente le dimissioni nell’interesse della Liguria erano opportune. Questo non toglie, però, che sulle accuse a Toti io abbia moltissime perplessità.

Cosa non le torna?

Gli atti erano legittimi, i finanziamenti erano dichiarati. A questo punto che cosa si vuole sindacare? Un’impresa perché dovrebbe finanziare un politico se non nella speranza che la sua azione politica - ferma la legittimità degli atti amministrativi - finisca per favorire i suoi interessi? L’azienda ragiona nel proprio interesse e quindi quando finanzia un politico lo fa perché ritiene che le scelte di quel politico, in qualche modo, saranno coerenti con l’interesse dell’azienda. Ritenere che si possa commettere un reato di corruzione con atti legittimi e con finanziamenti dichiarati sembra davvero un’esagerazione, una forzatura, un modo con cui, effettivamente, la giurisdizione cerca di rendere la politica una categoria evanescente. E se fosse vero quello che sostengono i procuratori della Repubblica in giro per l’Italia, nessuna impresa avrebbe più interesse a finanziare un politico, visto che dall’attività di quei politici non potrebbero ricavare nessun vantaggio senza commettere un reato. Chi si meraviglierà del fatto che, in caso di vittoria di Trump in America, la legge sulle armi non cambierà? Nessuno, perché la lobby delle armi finanzia la politica di Trump. E lo fa perché sa che la politica di Trump consente di acquistare armi da guerra come da noi si compra un pacchetto di assorbenti.

Quindi con un bonifico tracciato non si può parlare di corruzione?

Affermare che questa sia corruzione significa poter condannare la politica a una condizione di debolezza. Quindi, ancora una volta, ciò che è in gioco è l’equilibrio tra i poteri.

Lo ha detto anche Toti: quello che lo riguarda sarebbe «un processo alla politica, ai finanziamenti, trasparenti e legali, agli atti, anch’essi legali e legittimi». Sappiamo che negli ultimi anni il tema del finanziamento alla politica è stato demonizzato: la politica è casta e non deve pesare sulle spalle dei cittadini. Lasciando però spazio proprio ai privati.

E sono tutte sciocchezze, mi creda. Se noi vogliamo la democrazia dovremo tornare a partiti organizzati e a partiti ovviamente che abbiano le disponibilità economiche per fare politica. Senza falsi moralismi. Fare scelte diverse significa spostare l’equilibrio istituzionale in favore della giurisdizione.

Secondo molti commentatori, c’è stato una sorta di ricatto: le dimissioni in cambio della libertà. Come ha interpretato quegli atti?

Quei provvedimenti sono assurdi. Si è arrivati a dire: “non lo liberiamo perché è convinto di non aver sbagliato”. Cosa vuol dire? E ripeto, è un problema di equilibrio tra i poteri. Franklin ne parlò due secoli fa, Tocqueville quasi due secoli fa, Tocqueville pure: il problema sta tutti lì. Perché la democrazia funzioni, i poteri devono essere equilibrati. Nel momento in cui un potere cerca di debordare a danno dell’altro, la democrazia funziona male. Io queste cose le dico dai tempi di Mani Pulite, non me le invento oggi. Non trovo simpatico Toti, milito in formazioni politiche in contrasto con quelle a lui vicine, ma queste accuse mi sembrano una forzatura, se le cose sono quelle che ho appreso dai giornali.

Però la politica anziché compattarsi, anziché riflettere sul fatto che un giorno capita a destra e il giorno dopo a sinistra, ha reagito in maniera scomposta: le forze d’opposizione sono andate in piazza, usando ancora una volta la giustizia come clava contro il nemico politico.

Questo è stato sempre il limite delle forze politiche, non solo di centrosinistra, ma anche di centrodestra: hanno sempre gioito degli eccessi della magistratura quando colpiva l’avversario politico. Io mi sono sempre rifiutato di ragionare così. Perché ripeto, in gioco c’è la separazione dei poteri e quindi il funzionamento di una democrazia.

Quindi in questo non c’è differenza tra destra e sinistra? Cioè è solo una questione di congiuntura?

Assolutamente sì. Non ho mai ritenuto politicamente utile atteggiamenti di questo tipo e che alla fine si ritorcono contro. Le faccio una domanda: chi è che non riconosce, ormai, che negli anni di Mani Pulite il nostro appiattimento sulle posizioni della procura di Milano è stato eccessivo?

Qualcuno ancora ci crede.

Sì, ma sono pochi. La maggior parte - anche a sinistra - ha capito che in quegli anni esageravamo. Fu responsabilità di Luciano Violante. Ma dopo è stato lo stesso Violante a riconoscere che quelle sue posizioni erano sbagliate. In quel libro disse che i giudici dovrebbero essere i guardiani del trono, ma non devono avere l’ambizione di salire sul trono.

L’altra faccia della medaglia è la politica che annuncia riforme, come se volesse rispondere con la stessa moneta.

Sì, ma è una politica miope, che non ragiona in senso istituzionale.