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Ilva. A Taranto sono a rischio il rilancio industriale e l’ambientalizzazione. Ma è in gioco anche la capacità dell’Italia di attrarre investitori stranieri, dopo il no del ministro del Lavoro Luigi Di Maio all’immunità penale per ArcelorMittal, società amministratrice dell’ex Ilva.
«C’è un sovranismo industriale, ma per rafforzare la sovranità industriale tedesca e francese», sottolinea Marco Bentivogli, segretario generale della Fim Cisl. Un’incertezza, aggiunge, che rischia di scaricare sui lavoratori il pericolo della chiusura degli impianti e provocare un’emorragia di posti di lavoro in una zona con grossi problemi occupazionali.
Un quadro a tinte fosche, reso ancora più preoccupante dall’ordine della procura di spegnere l’Altoforno 2. Che rischia di bloccare ulteriormente la produzione.
Cosa comporta lo spegnimento dell’Afo2?
È una decisione problematica, perché ci sono già impianti, come l’Afo5 - che è il più grande dell’intero stabilimento - già sospesi, in quanto in attesa di riqualificazione industriale e ambientale. Lo spegnimento di un ulteriore forno rischia dunque di essere un problema produttivo.
Di cosa parliamo, in cifre?
Questo forno produce 4500 tonnellate al giorno ed è chiaro che lo spegnimento rappresenta un problema, se si considera inoltre che si tratta di operazioni molto lunghe, per le quali servono diversi mesi. Senza rispettare i tempi giusti si creerebbero rischi per la sicurezza e anche che il forno possa non essere più utilizzabile.
Il ministro Di Maio ha affermato di aver avviato un’interlocuzione con la procura per evitare lo spegnimento. Ma è possibile?
In effetti non capiamo cosa possa voler dire e lo abbiamo appreso con una certa sorpresa. Più che “l'interlocuzione del ministro con la Procura”, di cui ci sfugge la forma, servono atti formali, come l’istanza di sospensione appena inviata dai Commissari straordinari di Ilva in accordo con Arcelor-Mittal alla procura.
Cosa è emerso dal tavolo al Mise?
È una situazione che sta per saltare, perché oltre alla questione dell’altoforno e dell’immunità penale, c’è anche quella della cassa integrazione disposta dall’azienda per 1395 lavoratori. A fronte della nostra richiesta di ritirare l’ammortizzatore, l’azienda non solo ha risposto negativamente, ma si è detta anche non disponibile a mediazioni. E non ha dato alcuna garanzia che al termine delle 13 settimane previste i lavoratori rientrino tutti quanti.
Quali sarebbero le conseguenze?
L’azienda è già sottodimensionata rispetto alla vecchia Ilva e la cassa integrazione poteva essere evitata. Ma è un problema molto serio da un punto di vista dell’atteggiamento aziendale, che pregiudica non solo i rapporti tra sindacato e ArcelorMittal ma anche la tenuta dell’accordo. Se l’azienda non ritirerà la cassa ripartiremo con lo sciopero. Quello della scorsa settimana ha portato a bloccare l’impianto, con un’adesione del 76 per cento dei lavoratori.
Cosa accade con lo scudo penale?
Ciò che è previsto nel Decreto Crescita sull’abolizione dello scudo penale per i dirigenti e lavoratori rischia di portare alla chiusura dell’impianto. Lo scudo penale non è, come dicono in molti, a tempo indeterminato e per qualsiasi reato, ma relativo a lavoratori e dirigenti aziendali nell’esercizio delle proprie funzioni lavorative, al fine di rispondere alle prescrizioni Aia ( Autorizzazione integrale ambientale, ndr), “assolvendo” ArcelorMittal rispetto alle responsabilità del passato. Nessuno accetterebbe mai l’ambientalizzazione dell’area correndo il rischio di essere condannato per reati che nascono ben prima del proprio arrivo. Questo è un tema molto serio che il ministro ha provato a usare per recuperare consensi a Taranto, ma lo ha fatto combinando un pasticcio. È un gioco schizofrenico: prima Di Maio conferma quanto previsto dal governo precedente, poi abolisce lo scudo penale e poi è costretto a rimetterlo.
Cosa avverrebbe senza?
Ci si scontrerebbe con una bomba sociale, oltre che ambientale: sarebbero a rischio 20mila posti di lavoro, dando il colpo di grazia all’ambientalizzazione. Il caso dello stabilimento di Bagnoli, rimasto un deserto di inquinamento e camorra, è emblematico, ma si continua a non leggere gli errori fatti nella storia. I recenti dati del ministero della Sanità, inoltre, ci dicono che la situazione, dal punto di vista ambientale, sta migliorando. Cose come il cambio dei filtri sono importantissime, ma se chi dà disposizioni rischia di essere messo sotto accusa dalla magistratura allora nessuno si sentirà mai libero di prendere decisioni.
E i posti di lavoro?
Senza scudo, ArcelorMittal potrebbe andare via e di conseguenza l’ex Ilva chiuderebbe. Così l’Italia perderebbe l’unica produzione di acciaio a ciclo integrale dando, inoltre, un segnale a tutti gli investitori del mondo: sarebbe come mettere un cartello sotto il cielo italiano con la scritta “Non venite qui”. Nessuno investe in un paese che cambia ogni 6 mesi le regole.
Cosa direte al governo?
Che deve dare tempi certi su questa questione e deve farlo immediatamente. Magari in misura limitata, ma lo scudo penale va inserito nell’accordo per il periodo di ambientalizzazione. Ora rimaniamo in attesa di una convocazione. E di risposte.