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C’era l’Italia reale di chi produce ieri in piazza Santi Apostoli a Roma, l’Italia di chi non va avanti a colpi di tweet, ma si carica ogni giorno di un pezzo della responsabilità per portare avanti il Paese. Una comunità che vuole partecipare attivamente allo sviluppo ed al riscatto nazionale. Lo abbiamo dimostrato in questo anno di mobilitazione confederale e delle nostre categorie, ritrovandoci nelle piazze d’Italia insieme a centinaia di migliaia di persone. Lo abbiamo ribadito in queste settimane con tante iniziative che hanno coinvolto i metalmeccanici, gli edili, i vigili del fuoco, i pensionati, i servizi, i trasporti, il pubblico impiego e tante altre categorie. Lo rimarcheremo anche il 13 dicembre ed il 17 dicembre, ancora una volta insieme a tanti nostri iscritti.
Noi non facciamo da stampella alla politica e a nessun governo. C’è un popolo in movimento che vuole essere ascoltato, che chiede alla politica determinazione e concretezza sulla crescita, sull’occupazione, sulla coesione sociale e territoriale. Il popolo del lavoro non vive di sondaggi elettorali ma di sviluppo, investimenti, contratti, occupazione. Ci sono 160 vertenze aperte che riguardano il futuro di centinaia di migliaia di persone e di famiglie. C’è un cinismo insopportabile da parte dell'imprese perché in un Paese che da anni dimostra che il lavoro non è centrale, è ovvio che anche le aziende possono pensare di fare quello che vogliono.
E quando si stancano del giocattolo lasciano a casa migliaia di uomini e donne, come vogliono fare ora Arcelor, Unicredit e tante altre aziende. Ma il sindacato non accetterà alcun esubero. Lo abbiamo detto con chiarezza ieri nella nostra manifestazione. Lo hanno gridato i nostri delegati di base, migliaia di uomini e donne che noi rappresentiamo. Noi non ci stiamo a mettere la salute e l'ambiente in contrapposizione con il lavoro. Non si può chiedere alle persone se morire di cancro o di fame: è un gioco perverso, umiliante.
Deve essere chiaro ad Arcelor che non si viene in questo paese a fare shopping e poi a buttare via le imprese e chi ci lavora. Il messaggio chiaro e' che gli accordi con il sindacato non sono carta straccia ma vanno rispettati. Noi non siamo contrari all'intervento dello Stato ma deve esserci un piano industriale serio con investimenti che diano prospettive all'industria siderurgica. Cosi come non permetteremo mai lo smembramento di Alitalia, la nostra compagnia di bandiera che deve invece essere rilanciata.
E poi ci sono Pernigotti, Whirlpool, Blutec, Almaviva, Mercatone Uno e tante altre vertenze che attendono da mesi un soluzione. Il Governo non puo' limitarsi a fare da ' notaio', deve assumersi le sue responsabilità. Chiediamo confronti, soluzioni, progetti concreti e maggiore impegno nella gestione di queste realtà. Servono coesione, partecipazione e forti investimenti.
E occorre una politica industriale che sostenga e indirizzi i nostri comparti produttivi. Soprattutto quelli più strategici. Anche sul tema delle infrastrutture non è cambiato nulla in questi mesi. Oltre 75 miliardi e 400.000 posti di lavoro posti inspiegabilmente in congelatore, nonostante dal 2008 siano andati in fumo 800mila posti di lavoro e 120mila imprese del settore. Numeri apocalittici che hanno gonfiato anche il lavoro nero, quello grigio, il dumping contrattuale, l’irregolarità e quindi lo sfruttamento e gli incidenti sul lavoro.
La messa in sicurezza del territorio, la manutenzione degli edifici pubblici, le strade, i viadotti, la riqualificazione dei centri urbani sono un problema che accomuna tutto il paese. Se non riparte il settore non riparte l’Italia. Ecco perché andremo avanti nella mobilitazione fino a quando non avremo le risposte giuste. Senza fare sconti a nessuno.