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Nella ormai lunga storia dei rapporti tra Matteo Salvini e il reato di sequestro di persona in danno degli immigrati bloccati sulle navi da cui erano stati soccorsi in alto mare, si è aggiunta la vicenda processuale della Ong spagnola Proactiva Open Arms. I fatti risalgono all’agosto 2019, quando Salvini era ministro dell’Interno; sulla nave erano presenti più di cento migranti in attesa che il ministro indicasse un porto per lo sbarco sul territorio italiano. La giunta per le immunità del Senato ha respinto ieri a larga maggioranza la richiesta dei magistrati di Palermo di iniziare il procedimento penale contro Salvini per sequestro di persona, ma l’ultima parola spetterà nel giro di qualche settimana all’aula parlamentare. Al di là della specifica vicenda della Open Arms, l’impressione che si trae dagli episodi in cui diverse procure della Repubblica hanno ravvisato gli estremi del reato di sequestro di persona è che Salvini abbia utilizzato la minacciata incriminazione per fini di immediata convenienza politica. Emblematico è il caso della nave Gregoretti del gennaio di quest’anno: dapprima Salvini si è opposto alla richiesta di autorizzazione a procedere, dando in tal senso istruzioni ai senatori della Lega, poi ha mutato parere e gli stessi parlamentari della Lega hanno espresso il voto decisivo a favore dell’autorizzazione. Eravamo in prossimità delle elezioni regionali in Emilia- Romagna e Salvini ha evidentemente ritenuto che fosse per lui politicamente più conveniente presentarsi agli elettori in qualità di “martire” perseguitato dalla giustizia penale per avere difeso le acque territoriali italiane dalla pericolosa invasione di centinaia di immigrati irregolari. Ricorderete una delle frasi melodrammatiche pronunciate in quella circostanza: “Ci sono momenti in cui per arrivare alla libertà bisogna passare per la prigione”. Ora Salvini pare seriamente preoccupato dal rischio di una condanna sino a 15 anni di galera ( è il massimo della pena per il delitto di sequestro di persona aggravato per essere il reato commesso da un pubblico ufficiale con abuso delle sue funzioni e per essere presenti tra i “sequestrati” dei minorenni) e ha alzato il tiro, strumentalizzando la sciaguratissima vicenda del pubblico ministero Luca Palamara. Si è rivolto al Capo dello Stato prospettando l’esigenza di sciogliere il Consiglio superiore della magistratura e lamentando che sarebbero venute meno le garanzie di imparzialità e indipendenza della giustizia. Vi è quanto basta per domandarsi se non si debba una volta per tutte fare chiarezza sul delitto di sequestro di persona che viene ventilato in occasione dei ritardi nello sbarco dei migranti soccorsi dalle navi delle varie Ong. Non c’è dubbio che in quei contesti si verificano gli elementi oggettivi del reato, posto i migranti rimangono sostanzialmente prigionieri a bordo delle navi che li hanno soccorsi sino a che il ministro dell’Interno non dà il via libero allo sbarco sul territorio italiano. il reato di sequestro di persona richiede anche il dolo, cioè si deve agire con la volontà esclusiva di privare quei soggetti della libertà personale. Ritengo che dal punto di vista del diritto penale questa volontà esclusiva non sia riscontrabile nel ministro dell’interno Salvini, perché altre sono le ragioni – a prescindere dal fatto che siano o non siano condivisibili - che l’hanno indotto a procrastinare gli sbarchi. Si tratta di ragioni legate ad una certa visione politica miope ed egoistica – certo discutibilissima – del fenomeno dell’immigrazione clandestina; dell’esigenza di coinvolgere l’Unione europea e i singoli Paesi che ne fanno parte nell’accoglienza dei migranti, che è parsa soprattutto evidente nell’ultima vicenda della Open Arms; della difficoltà di trovare il porto sicuro giusto per eseguire lo sbarco, cioè motivi di convenienza e opportunità politica che nulla hanno a che vedere con il dolo del reato di sequestro di persona. A questo punto sarebbe ragionevole che le procure della Repubblica che hanno sinora prospettato azioni penali per il delitto di sequestro di persona facessero una riflessione sull’effettiva sussistenza degli elementi di tale reato e si domandassero se, in luogo di quella penale, la risposta al ministro dell’interno/ senatore Matteo Salvini non vada piuttosto ricercata sul terreno politico. A ciascuno il suo: ai magistrati il compito di perseguire i reati effettivamente esistenti ricorrendo al sistema della giustizia penale; al popolo il compito di censurare le scelte politiche dei governanti con l’espressione del voto in occasione delle scadenze elettorali o con il referendum popolare abrogativo delle leggi.