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Musolino
Da un lato c’è l’Anm, che raccogliendo l’invito di alcune toghe difende i magistrati di Locri, denunciando «un’inaccettabile mancanza di senso istituzionale» nell’attacco «mediatico» nei confronti della procura. Da un lato chi, come Stefano Musolino, pm antimafia a Reggio Calabria e segretario generale di Magistratura Democratica, respinge al mittente i discorsi di chi sostiene che una critica delle sentenze non sia possibile. «La richiesta di interventi dell’Anm a tutela» della sentenza emessa dal tribunale di Locri nei confronti di Mimmo Lucano, ha dichiarato nei giorni scorsi a conclusione di un convegno sul tema “Un mare di vergogna”, «accresce la percezione pubblica di una magistratura chiusa, auto- percepita come casta sacerdotale che tutela i suoi riti e le sue pronunce, non si interroga sugli inevitabili effetti sociali dei suoi provvedimenti e, perciò, non ne tollera le critica, sollevando l’alibi del tecnicismo».
Dottore, come mai si è esposto in questo modo sulla vicenda che riguarda Lucano?
Proprio perché altri gruppi associati sono intervenuti nel dibattito pubblico a tutela, a prescindere, di quella sentenza e hanno invocato interventi del Csm e dell’Anm. Mi è sembrato che queste richieste mostrassero l’incapacità di una parte della magistratura di interrogarsi. Credo che tutti i gruppi associati manifestino la loro sensibilità valoriale ed è tutto perfettamente legittimo. Ma sono preoccupato del fatto che si chieda un intervento degli organismi istituzionali per tacitare le critiche rivolte a quel dispositivo. Proprio perché mi sembra la dimostrazione - e purtroppo non è la prima volta - di come la magistratura non riesca a comprendere le ragioni di questa reazione.
E quali sono le ragioni?
L’entità di una pena che, obiettivamente, è molto molto alta. Si pensi che qualche settimana fa a Reggio si è concluso il processo “Gotha” e un politico giudicato per concorso esterno in associazione mafiosa - condotta tenuta per 20 anni di attività politica - è stato condannato a 13 anni. Mi sono immedesimato in chi legge queste cose e legittimamente esprime delle critiche. Se poi sono fondate o no lo potremo dire quando leggeremo il ragionamento dei giudici e capiremo cosa li ha condotti a graduare la pena in questo modo, però credo sia legittimo che ci siano delle critiche da parte dell’opinione pubblica, perché immagino che abbia percepito che non si volesse condannare soltanto Lucano e gli altri coimputati, ma l’intero sistema.
Qualcuno ha parlato di soccorso da parte delle “toghe rosse” al compagno Lucano. Si riconosce in questa definizione?
Queste sono semplificazioni. Quando non si vuole argomentare qualcosa e discuterne ci si attacca un’etichetta e ci si impedisce di ragionare. Io ho fatto un ragionamento, se mi si dice che è sbagliato con argomenti che in questo momento io non colgo accetto il dibattito. Se la discussione è di questo livello lascia il tempo che trova.
Il procuratore di Locri è intervenuto ribadendo le ragioni della sua indagine. Secondo lei è opportuno?
Conoscendolo, sono sicuro che sia intervenuto spinto da una buona intenzione, ovvero tentare di fare chiarezza di fronte ad una lettura del dispositivo che solo chi ha vissuto il processo conosce bene. Ma in questo suo tratto di generosità probabilmente si è lasciato un po’ andare. Affermazioni come “bandito western”, in un momento in cui è stata anche recepita la norma sulla presunzione d’innocenza, lasciano il tempo che trovano, come pure giustificare la mancata concessione delle attenuanti generiche con l’omesso interrogatorio, quindi punendo un diritto difensivo. Però lo comprendo, perché non è stato facile gestire questa situazione.
Si è fatto un’idea di come si sia arrivati a questa condanna?
Siamo sul campo delle congetture. Nel primo blocco di reati in continuazione il reato principale è stato quello del peculato. Quindi la riqualificazione dell’abuso d’ufficio in truffa aggravata ha avuto un effetto limitato sul calcolo complessivo della pena. Bisogna davvero entrare nel processo per capire se c’erano i margini per poterlo fare, se c’era una prevedibilità, perché l’imputato ha anche diritto ad avere una prevedibilità della riqualificazione giuridica. Però sulle ragioni della decisione non mi sento di dire nulla. Nessuno dice che quella pena è illegale, perché è previsto dalla legge, e nell’emetterla i giudici hanno esercitato una loro legittima discrezionalità, che poi capiremo meglio con le motivazioni, ma alla fine il risultato è una pena elevata che legittimamente può suscitare nell’opinione pubblica delle critiche. Non credo che come magistrati possiamo dire che non lo si possa fare. È una presa di distanza della magistratura che stride col suo ruolo e rischia di far perdere di vista la necessità di essere non solo autoritari, ma anche autorevoli. Che vuol dire fare anche le cose contro l’opinione pubblica, quando significa difendere i diritti fondamentali e quindi non avere timore di andare contro la stessa, ma anche non chiudersi ad ogni forma di critica.
C’è poi una questione di tempistica: la sentenza è stata pronunciata a tre giorni dal voto.
Si poteva fare cinque giorni dopo. Credo che questo faccia parte della sensibilità e dell’equilibrio del giudice. Non conosco le ragioni per cui non era possibile emettere questa sentenza la prossima settimana, quello che posso dire è che in generale questo fa parte di un equilibrato esercizio dei poteri discrezionali nella gestione delle udienze da parte dei giudici. Poi i nostri sono tribunali complicati e quindi l’organizzazione delle tempistiche dipende da tante cose, ma trattandosi di una vicenda così delicata, che rischiava di impattare su un momento essenziale della nostra vita democratica, quello elettorale, ci voleva una particolare attenzione, che va oltre la tutela corporativa. E questo è un problema.
Lei ha avuto a che fare con reati gravi e anche con una gestione dell’accoglienza diversa da quella di Riace. Che differenze ci sono?
Ho fatto processi drammatici in relazione alle modalità di accoglienza dei migranti a San Ferdinando quando ero alla procura di Palmi, con strumentalizzazione della forza lavoro, associazioni finalizzate al caporalato e allo sfruttamento schiavistico dei migranti. Ho visto aggressioni a colpi d’arma da fuoco a migranti che non calavano la testa eli ho visti anche in aula indicare gli autori di gravi atti delittuosi contro di loro, con un coraggio che spesso non ho visto da parte dei cittadini italiani.
Qual è stata la pena più alta in questi casi?
Non glielo so dire perché poi sono stato trasferito a Reggio Calabria e il processo non l’ho seguito. Ma certamente sotto i 13 anni.