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Oggi la Camera vota e presumibilmente approva visto che la proposta è firmata dal pd Matteo Richetti ed è appoggiata dai Cinquestelle, dalla Lega e da settori di FI - la norma che equipara i vitalizi dei parlamentari al trattamento pensionistico degli altri cittadini. I vitalizi sono stati aboliti nel 2012: tuttavia chi è stato deputato o senatore in epoche precedenti gode del sistema retributivo invece che del contributivo. Di fatto, viene fatta valere retroattivamente una regola che invece riguarda il presente e il futuro. Così non si combattono i privilegi, si combatte il Parlamento
In questo modo, si interviene su una materia storicamente disciplinata dai regolamenti parlamentari e non da provvedimenti legislativi. I rischi di incostituzionalità sono evidenti e ammessi dagli stessi proponenti. Inoltre, benchè approvato a Montecitorio, il provvedimento rischia di arenarsi lo stesso al Senato, dove i confini della maggioranza sono più incerti e più ampie le perplessità su un intervento in contraddizione con basilari principi del diritto. Per di più, la retroattività così sommariamente introdotta rischia di provocare conseguenze a pioggia per milioni di pensionati semplici che di colpo potrebbero vedere i loro trattamenti decurtati per adeguarli alla nuova disciplina del contributivo.
Questi sono i fatti. Cosa c’è di così importante in questa misura e perchè provoca tanto clamore? Per meglio comprendere, forse è opportuno preliminarmente indicare cosa c’è di nonimportante.
Non c’è un’urgenza legislativa visto che il vitalizio, come detto, non esiste più da anni. Non c’è una necessità di bilancio, perché il risparmio complessivo, a detta degli stessi grillini, ammonta a circa 215 milioni. Va ricordato che la spesa pubblica complessiva dell’Italia è pari a circa 830 miliardi; che la corruzione secondo la Corte dei Conti se ne “mangia” 60 e l’evasione fiscale e contributiva si aggira intorno ai 110 miliardi l’anno. Se si cercano terreni su cui intervenire per risparmiare, le priorità sono altrove: i vitalizi rappresentano una microscopica goccia.
Dunque questa legge risponde ad altre motivazioni, tutte e solo politiche. La prima è che si tratta di una misura “anti- casta”. E’ espressione cioè di quel sentimento di rivolta contro i meccanismi della democrazia rappresentativa che vedono in prima fila i Cinquestelle ma che da anni e con compiaciuta voluttà vengono cavalcati da settori della società ( magistratura compresa) e dei media, sempre più restii a riconoscere alla politica e alle sue espressioni istituzionali il primato delle decisioni. Il fatto che la politica in parecchie delle sue manifestazioni - a cominciare dai partiti e dalle leadership che li incarnano - si sia dimostrata non all’altezza del proprio compito è una verità incontestabile, che tuttavia non cancella né tantomeno autorizza l’assalto suicida al corretto bilanciamento dei poteri. Caduto il quale, si sfocia inesorabilmente in regimi autoritari.
La seconda è che l’assalto alla politica e alla casta così inteso, si sostanzia in un deprezzamento sempre più pervicace nei confronti del simbolo massimo del sistema democratico: il Parlamento. Invece di garantirne l’autonomia e l’indipendenza, il coretto “onestà, onestà” intende travolgerlo, aprirlo «come una scatoletta di tonno», farlo apparire un organo tanto corrotto quanto inutile o addirittura dannoso.
L’antiparlamentarismo in Italia ha tradizioni consoldiate: dal lancio del pitale del dannunziano Guido Keller, all’ «aula sorda e grigia da trasformare in bivacco di manipoli» di cui non c’è bisogno di ricordare il copyright. Quel che sorprende e sconcerta è che questo sentimento sia diventato così prevalente da annoverare tra i suoi profeti anche esponenti di una tradizione politica opposta. Per giustificare la spinta al provvedimento, infatti, il suo promotore, oggi capo della comunicazione del Nazareno, tranquillamente sostiene che «il rischio di incostituzionalità c’è, ma io sulla Costituzione leggo che tutti i cittadini sono uguali davanti alla legge. E dunque tutti devono avere lo stesso trattamento, compresi i parlamentari». Per comprendere quanto il sillogismo di Richetti sia fuorviante basterebbe ricordare che, seppur incarcerato, un cittadino viene immediatamente liberato una volta eletto parlamentare. Proprio perché la legge che è uguale per tutti riconosce a chi svolge un mandato rappresentativo uno status diverso e specifico, e ne garantisce la salvaguardia e tutela.
E’ dunque il caso di modificare la domanda iniziale - cosa c’è di importante nella legge sui vitalizi? - in un’altra assai più fondamentale: è giusto e doveroso riconoscere ai parlamentari ruolo, condizioni, trattamenti politici, giuridici ed economici diversi dai cittadini comuni? La risposta è: sì, assolutamente sì.
Come spiegava già nell’ 800 lo studioso inglese Erskine May, «il privilegio parlamentare rappresenta la somma dei diritti di cui dispongono collettivamente ciascuna Camera e individualmente ciascun parlamentare per essere in condizioni di esercitare le loro funzioni». Chi limita questi «privilegi» limita la funzione del Parlamento e in ultima analisi produce un danno alla democrazia.
Il mezzo più giusto e corretto per impedire che il Parlamento diventi ricettacolo di impunità o scudo per comportamenti inadeguati o addirittura illeciti, sta nello stabilire regole precise e vincolanti meccanismi di trasparenza per i partiti e movimenti politici al momento delle candidature. C’è scritto nella Costituzione all’articolo 49: inevaso da settant’anni. Esiste una proposta di legge per l’attuazione di quell’articolo. E’ firmata anch’essa da Matteo Richetti: è ferma in chissà quale cassetto. A giudizio del Pd e di tutti coloro che agognano la distruzione della casta, è più giusto gareggiare in demagogia con Grillo e gli altri apologeti dell’antipolitica. Per usare un’espressione cara a Matteo Orfini che del Pd è presidente: bene, buon divertimento a tutti voi.