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Il presagio a tinte fosche di Giancarlo Giorgetti secondo cui «dai palazzi della politica non verrà nulla», dovrebbe far correre un brivido per la schiena ai tanti che scrutano, con inquietudine o aspettative di rivalsa, l’autunno che ci attende. Soprattuto se quella preconizzazione si accompagna al resto della frase dell’ex sottosegretario leghista a palazzo Chigi: «Almeno finché dal Paese reale, vista la situazione, non verrà una spinta tale da indurre la politica a prenderne atto. Ma sarà una pressione dall’esterno, non un moto dall’interno». Di che si tratta? Molto semplice: del fatto che nel mentre si appresta un tifone economico di stampo recessivo, le principali forze politiche invece di individuare un minimo comun denominatore di sintonia - ciascuna nel proprio ruolo di maggioranza o opposizione, senza confusioni e senza strumentalismi - infilano la testa sotto la sabbia e giocano a farsi la guerra l’un l’altra. Non è solo un travisamento delle indicazioni che arrivano dal Quirinale o il rigetto di un bon ton politico. Piuttosto la stupefacente sottovalutazione della rabbia e frustrazione che covano tra i cittadini e che nessuna movida o corsa alle spiagge “distanziate” può cancellare. Il punto è che la «pressione dall’esterno» minaccia di esprimersi non in disaffezione bensì in focolai di tensione sociale se non proprio di disobbedienza civile. In altri termini invece di spinta costruttiva e sollecitatrice potrebbe esprimersi come rivolta rispetto a condizioni di vita che divengono via via più insopportabili. Cornice nella quale potrebbero inserirsi sollecitazioni malavitose tali da creare problemi anche di ordine pubblico.Si tratta di uno scenario da incubo che non prende spunto dall’intervento improvvido di un deputato del M5S sulla gestione lombarda del Covid-19 e dalle scene da saloon che ha provocato. Piuttosto affonda le radici in uno scontro sociale e territoriale che sbriciola la coesione del Paese e di cui tutti dovrebbero occuparsi con i propri buoni uffici per bloccarne sul nascere le pulsioni. Non c’è alcun governo di larghe intese alle porte e pure le fumisterie su Mario Draghi lasciano il tempo che trovano. In sella c’è l’esecutivo di Giuseppe Conte e nient’altro. Ma lo spettro della «pressione esterna» non riguarda solo una parte politica o uno schieramento piuttosto che un altro. Riguarda gli italiani. Tutti.