Oggi terminano i nostri faccia a faccia sui quesiti referendari, proposti da Lega e Partito Radicale. Concludiamo con il quesito che vuole abrogare l’obbligo, per un magistrato che voglia essere eletto in Csm, di trovare da 25 a 50 firme per presentare la candidatura. Ne parliamo con l'onorevole leghista Jacopo Morrone, già sottosegretario alla Giustizia nel Conte I.
Onorevole Morrone perché votare sì al quesito che abrogherebbe l’obbligo, per un magistrato che voglia essere eletto in Csm, di trovare da 25 a 50 firme per presentare la candidatura?
Questa è la madre di tutte le battaglie per indebolire il sistema delle correnti. Senza l’appoggio di una corrente che garantisca le firme necessarie per candidarsi al Csm, il singolo magistrato oggi è, nei fatti, impossibilitato a farlo. Possiamo quindi affermare, senza tema di smentita, che la partita elettorale per il Csm è gestita dalle correnti e che, di conseguenza, non c’è alcuna opportunità per magistrati anche di valore che non accettano di rientrare in questo schema. Votare sì al quesito referendario significa riportare tutto alle origini e consentire a ogni magistrato di proporre la propria candidatura a componente del Csm. Un’occasione unica, a mio avviso, per superare quel decadimento correntizio su cui a parole sembrano concordare tutti, ma che, nei fatti, appare un tabù insormontabile.
Rispetto al dibattito sulla riforma del Csm in Parlamento, i referendum si rendono ancora più necessari?
Il dibattito parlamentare sulla riforma del Csm e i quesiti referendari sono complementari e altrettanto necessari. Penso tuttavia che la spinta dei referendum sia indispensabile per sollecitare l’urgenza di una riforma strutturale più radicale, tale da intervenire su un sistema incancrenito che se ne sottrae da decenni con la conseguenza di una grave perdita di credibilità e di fiducia da parte dei cittadini. Voglio ricordare un episodio che mi vide protagonista nel luglio 2018 al mio esordio come sottosegretario alla Giustizia: durante un incontro con i magistrati tirocinanti affermai, tra le altre cose, che le correnti in magistratura avrebbero dovuto essere sempre meno presenti. Apriti cielo, scoppiò un caso politico. Allora, forse, il tema era ancora un tabù, ma era ciò in cui credevo in quel momento, esattamente come lo credo oggi. Le vicende successive, vedi il “caso” Palamara e l’emergere della degenerazione della politicizzazione e del correntismo, mi hanno dato ragione.
Sui giornali e soprattutto in televisione c'è un silenzio sui referendum. È preoccupato?
È vero. Dei referendum si parla troppo poco e me ne chiedo i motivi. Non sono preoccupato ma ritengo che il dibattito pubblico debba essere stimolato a tutti i livelli. Per quanto riguarda la Lega, c’è una rete capillare di militanti e soci che diffonde motivi e contenuti dei quesiti referendari tra la gente. Di altre forze politiche non so, né mi risulta. Ma non sfugge a nessuno che il dossier giustizia è centrale nel Paese. Se non si risolvono radicalmente i problemi tuttora insoluti, nonostante siano denunciati da anni, dubito che si possa parlare di ripartenza e di vera riforma. Bisogna far capire che questo treno non si può perdere. Il rischio è che permangano quelle situazioni che ostacolano, per le più diverse ragioni, le riforme di cui il sistema giustizia non può fare a meno. C’è da chiedersi se principi fondamentali come la separazione delle carriere tra giudici e pubblici ministeri, la riforma strutturale del Csm, la responsabilità e la valutazione dei magistrati, per citarne solo alcuni, possano arrivare ai risultati attesi se sottoposti a censura o silenziamento anche da parte della politica, oltre che dei media. E c’è poi una domanda successiva altrettanto importante: a chi gioverebbe il fallimento dei referendum?
Secondo lei quale sarebbe la data giusta per votarli? Insieme alle amministrative? Dal Viminale si pensa di accorparli ai ballottaggi: potrebbe essere una soluzione?
Credo che sarebbe opportuno accorpare i referendum alle elezioni amministrative.
Ai magistrati non piace la riforma Cartabia e allo stesso tempo avversano i referendum. Come legge tutto questo?
Voglio pensare che la grande maggioranza dei magistrati che lavora silenziosamente con la massima efficienza, rimanendo estranea al sistema delle correnti e alla spartizione politicizzata di prestigiosi incarichi, punti al recupero di credibilità del sistema giustizia, considerando inderogabile una riforma strutturale. Sul sorteggio temperato per il Csm proposto dalla senatrice della Lega Giulia Bongiorno, per esempio, c’è stata una convergenza di vedute bipartisan. Purtroppo ci saranno sempre soggetti anche molto prestigiosi, in qualunque ambito, che considerano un “nemico” chiunque solleciti riforme che, pur giuste e ineludibili, puntano a smantellare poteri consolidati e rendite di posizione. Lo abbiamo già visto e non c’è da illudersi che esitino a mettere in campo strategie per evitare certe riforme. Certo è che i tempi sono cambiati, i “casi” di politicizzazione, correntismo e carrierismo e di guerre interne alla magistratura si sono moltiplicati. Di qui, l’auspicio che la gran parte della magistratura più lungimirante sappia convergere su riforme strutturali che non ne ledono l’indipendenza e l’autonomia, né le prerogative.