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Macron ha detto che bisogna ridiscutere regole e patti della UE prima di nuovi allargamenti. Fra le situazioni non risolte guarda caso è l’emigrazione lo stesso fenomeno che determinò il risultato della Brexit, quando già le istituzioni europee erano bloccate da vari anni. Anni in cui nel mondo si stanno combattendo battaglie strategiche e commerciali di non poco rilievo. Aggravate, oggi, dalla guerra, nuova e vecchia, nel confine Turchia e Siria e dalla tormentata questione dei curdi, ma anche dal mai sconfitto definitivamente integralismo islamico. Si riflette, tanto per sapere, che i due paesi bocciati sono a maggioranza islamici. Ma torniamo al veto francese per ricordare che fu proprio la Francia e poi l’Olanda, dove si svolsero due referendum popolari per la ratifica del trattato costituzionale europeo preparato dal comitato dei costituenti presieduto da Giscard d’Estaing, ex- presidente della Repubblica, a bocciare il testo appena sottoscritto in una solenne cerimonia a Roma in Campidoglio.
Era il 29 maggio del 2005, quando il 55% dei francesi bocciò il trattato. Solo un anno prima nel Maggio del 2004 ben dieci nuovi paesi erano entrati a far parte dell’Unione, dopo il gruppo di Visegrád, Polonia, Ungheria, Repubblica Ceca e Slovacchia, mentre già bussavano per entrare Malta, Cipro, Turchia, Albania, Slovenia, Macedonia, Ucraina, Paesi Baltici e Bielorussia. Sembrava una cavalcata verso le magnifiche sorti e progressive della Grande Europa che si allargava in ogni dove, senza badare alle questioni economiche, sociali e culturali che un simile allargamento avrebbe provocato, specialmente al profilo politico- istituzionale di un organismo sempre più diverso da quello concepito dai suoi fondatori.
Persino rispetto al progetto più realistico avanzato da Édouard Balladur, di un modello di Europa a cerchi concentrici, intorno al nucleo dei fondatori impegnati a far crescere l’Unione secondo i principi del Trattato di Maastricht. Ancora assai prudente era il progetto di Valéry Giscard d’Estaing, che si basava su un patto di stati europei desiderosi di stabilire il nucleo di una Unione a vocazione federativa. Furono i governi di sinistra socialdemocratica, allora al governo in ben tredici paesi su quindici dell’Unione, a sottovalutare i valori della sovranità statale su cui si fondava la vecchia Europa e le diverse identità nazionali appena liberate dal giogo sovietico.
Furono loro a bloccare i progetti di integrazione militare e quindi di autonomia dell’Unione nella politica estera. In più, oltre alle divisioni sulla politica internazionale e la guerra americana in Afghanistan e in Iraq, dopo gli attentati alle torri gemelle, la crisi economica creò condizioni non più favorevoli al processo di integrazione. In questo contesto i cittadini francesi che temevano la concorrenza dei lavoratori migranti dei paesi dell’Est ( il fantasma dell’idraulico) e le tensioni con il mondo islamico ( caso Turchia e il resto) mandarono a fondo il Trattato costituzionale europeo. Seguiti dagli olandesi che bocciarono il trattato con il 63% dei voti contrari.
Nel un caso, come nell’altro, cioè dove si era data la possibilità di esprimersi al popolo, l’emigrazione aveva fatto da causa, sotterranea e non calcolata, nel creare l’ondata montante dell’Euroscetticismo. Peccato che anche, allora, si preferì andare avanti senza capire e senza calcolare le cause di fondo degli errori commessi e poi della paralisi dell’intera Unione. Che, peraltro, era e rimane la creatura di maggior successo di un’Europa che si era autodistrutta con due guerre mondiali e con il mostro a tre teste del totalitarismo. Ieri come oggi il fenomeno migratorio è stato sottovalutato dalle classi dirigenti dell’Unione, sia cristiana sociale e moderata, sia socialdemocratiche. Gli errori commessi e mai riconosciuti hanno alimentato la reazione che ha preso le vie che sappiamo, in Italia e in tutta Europa. Fino ad oggi con il veto all’ingresso di Albania e Macedonia del Nord.