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Scusate se scrivo su un argomento che - a occhio nudo - non sembra avere a che fare con il referendum. Io credo che invece abbia a che fare. I dati Istat sulla povertà. Dicono due cose: la povertà è in aumento, sia per quantità che per qualità; e insieme alla povertà aumenta il tasso di disuguaglianza.
La povertà cresce negli strati sociali già più poveri: in particolare nelle famiglie con più di tre figli, dove arriva al 51 per cento.
Questo vuol dire che in Italia, nel 2016, sebbene il reddito medio sia abbastanza elevato ( quasi 30 mila euro all’anno), la maggioranza assoluta delle famiglie numerose vive in povertà. E nel Mezzogiorno questo dato arriva addirittura ai due terzi. L’Istat ci dice che il divario tra Nord e Sud si sta paurosamente allargando. La povertà al Sud è tre volte più grande che al Nord. Così come sta aumentando dicevamo - il tasso di disuguaglianza, e cioè di ingiustizia sociale. C’è una specie di algoritmo, studiato dai sociologi, che indica il coefficiente della diseguaglianza.
In Italia questo coefficiente della diseguaglianza è in aumento ed è arrivato a 324 mentre la media europea è 310. Siamo sedicesimi in classifica, non ci fa molto onore.
Voi dite che tutto questo ha poco a che fare con i risultati del referendum? Io dico che la valanga di No che ha sommerso il governo Renzi ha molto più a che fare con queste cifre che con il testo della riforma costituzionale. Anche perché quasi tutte le famiglie sanno molto bene se sono povere o no ( prima ancora che lo scopra l’Istat) e magari sanno un po’ meno della ripartizioni dei poteri tra Stato e Regioni o tra Senato e Camera...
Non sono forse la questione della povertà e quella dell’ingiustizia sociale due delle questioni principali delle quali si dovrebbe occupare la politica ( insieme all’impulso che deve dare allo sviluppo dell’economia e alla difesa dello Stato di diritto)?
Non credo che il governo Renzi sia stato sconfitto perché ha scritto male la riforma. E’ stato sconfitto, molto più probabilmente, perché ha dato l’impressione di non saper imprimere nessuna svolta su questi quattro grandi temi.
Ora la questione è molto semplice: il mondo politico pensa di poter frenare la rabbia popolare che ha portato al trionfo dei No, applicandosi a tempo pieno alla riforma elettorale, alle alleanze, ai regolamenti di conti tra le correnti dei partiti, e dimenticandosi dei problemi sociali? Se è così, questo paese non ha un grande futuro.
La demagogia, che oggi sembra la via maestra imboccata dalla politica – tutta la politica: quella di opposizione e quella di governo - serve a difendere piccole porzioni di potere o di visibilità: nient’altro.
Non c’entra niente col senso dello Stato.
Oggi i politici, di fronte ai grandi problemi sociali, si dividono in due categorie: quelli che li negano e quelli che pensano di poterli sfruttare. Prendete la questione dell’immigrazione, o, appunto, quella della povertà. C’è una parte della politica soprattutto la politica governativa - che preferisce ignorare questi drammi. Dice: li abbiamo risolti, li stiamo risolvendo... Non è vero.
E un’altra parte che li usa per contrapporli e chiedere applausi: e così grida che la povertà è colpa dell’immigrazione, perché i migranti ci rubano il pane. Sa benissimo che non è così, che la questione della povertà è molto più grande e non dipende certo dai pochi soldi che si spendono per l’accoglienza, ma dipende dall’incapacità di rilanciare l’economia e di regolare la distribuzione della grandi ricchezze. Però gli sembra che assecondare un’ondata di rabbia e di guerra tra poveri, possa fruttare consenso facile.
Se la politica non torna a fare il suo mestiere - che è quello di individuare i problemi e trovare delle soluzioni - se continua a pensare che quel che conta è gestire il potere e conquistare un po’ di consenso, è destinata ad essere spazzata via e sostituita dal altri poteri: quelli dell’economia, della finanza, della magistratura.