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Il No è dovuto alla questione sociale ( e votare subito è una pura follia). L’articolo di Carlo Troilo sull’Unità dal titolo “ Riflessioni di un vecchio socialista” mi ha molto colpito, anche perché lo condivido in larga parte. È incredibile come l’errore fatto da Renzi ( quando ha detto che lui e la Boschi si sarebbero ritirati a vita privata) sia diventato una sorta di sfida che ha aizzato una muta di cani da Casa Pound fino all’Anpipassando per la Lega, il M5S, FdI, gli estremisti di sinistra di tutti i tipi fino alla stessa Forza Italia.
La riforma era ragionevole e moderata: se c’era una critica da farle era che essa era minimalista. Basti pensare che in quella del centro– destra del 2005 c’erano dei maggiori poteri al premier, peraltro del tutto accettabili: invece Berlusconi ha trovato modo di parlare di “ deriva autoritaria” mutuando il termine dai suoi incredibili alleati nel No dell’Anpi e di Md. Così per molti anni rimarranno il bicameralismo, il Cnel, le province: cioè è riuscita un’operazione segnata dal conservatorismo più bieco che costituisce la conferma che in Italia anche il riformismo minimalista si trova di fronte una “ compagnia dei refrattari” composta da giustizialisti, populisti, estremisti di destra e di sinistra.
In sostanza una parte cospicua dell’Italia è organicamente refrattaria ad ogni tipo di riformismo e di innovazione ed è questa una delle ragioni di fondo per cui, a parte le punte innovative costituite dalle imprese esportatrici e da quei giovani che emigrano in Inghilterra, l’Italia nel suo complesso affonda nel declino ( del quale la città di Roma è giustamente la capitale, al netto della sua “ grande bellezza”).
Di conseguenza condivido anche una larga parte di ciò che dice Troilo sia sul carattere degli italiani, sia sul fatto che quella parte di essi che era all’opposizione della Dc, il partito unico dei cattolici, si è ritrovata nel più forte partito comunista dell’Occidente e non nel partito socialista e tantomeno nei partiti laici. Quel partito comunista che, per quanto si possano fare ricostruzioni ad usum delphini e per quanto esercitasse una forte egemonia culturale ( ma anche qui c’è da osservare che quasi in blocco gli intellettuali fascisti passarono dal Primato e dai Guf a Rinascita, al Contemporaneo, e da Gentile a Gramsci e a Togliatti) era così organicamente stalinista che nel 1956 non solo plaudì all’intervento armato in Ungheria ( il famoso “ bicchiere di vino in più” bevuto da Togliatti il giorno del fuoco dei carri armati sovietici) ma anzi sollecitò quell’intervento ( lettera di Togliatti al Pcus) e contrattò i tempi dell’assassinio di Imre Nagy ( esso doveva essere fatto dopo le elezioni amministrative italiane: e così avvenne).
Emblematici del “ carattere” degli italiani sono appunto gli intellettuali e l’Emilia Romagna: l’Emilia fu la roccaforte dei riformisti fino al 1914, poi passò in blocco ai fascisti e dopo il 1943 è diventata in larga parte comunista.
Detto tutto ciò per il voto sul referendum bisogna però fare alcune osservazioni aggiuntive perché la sua lettura è più complessa di quella che finora ne abbiamo fatto. La parte “ politica” del Noè stata rappresentata da un lato dall’alleanza di tutti i conservatori post Pci e post sinistra Dc con gli ultra giustizialisti ( Il Fatto Quotidiano, Md, Zagrebelsky) con gli eversivi ( Lega in versione Salvini e quel M5S che Troilo definisce “ fascista”, e che al fondo, forse inconsapevolmente lo è), a cui va aggiunto il tatticismo berlusconiano. Questo “ blocco” fra i conservatori, gli eversivi e i giustizialisti era, a mio avviso, circa alla pari con il Sì: a mutare del tutto i rapporti di forza c’è stato l’inatteso concorso di un pezzo per molti aspetti spoliticizzato della società italiana costituito da larga parte dei giovani e di coloro che si trovano in condizioni di povertà, un’area assai vasta che fra l’altro ha riguardato la stragrande maggioranza del Sud. Questa parte della società italiana non ha votato solo contro la riforma ma piuttosto ha voluto esprimere una protesta sociale contro tutto e tutti. Visto che l’occasione era il referendum e che esso era stato rappresentato da Renzi con una straordinaria sovraesposizione, essa ha votato contro la riforma e contro Renzi, ma il No è stato molto più profondo, vasto e radicale e non si è neanche identificato con le forze politiche più estreme.
Ora su questo nodo fondamentale va aperta la riflessione. Condivido quello che ha scritto La Spina sulla Stampa quando ha affermato che sarebbe disastroso che l’Italia abbandoni “ quattro punti” fondamentali del renzismo: “ la revisione di alcuni tabù fondamentali della sinistra italiana, lo sforzo di adeguamento della nostra legislazione a una realtà del costume morale e civile molto cambiata, la necessità di una maggiore efficienza del sistema istituzionale e politico, l’urgenza di una profonda riflessione di Unione Europea sul quale i cittadini del Continente sono in larga misura profondamente critici”. Tutto ciò vuol dire che una parte della lezione da trarre dal voto referendario non riguarda tanto il conservatorismo di quella sorta di “ compagnia della buona morte” costituita da conservatori, massimalisti e refrattari, ma la evidente condizione di sofferenza di un pezzo cospicuo di società italiana che ha aggiunto il suo No indifferenziato a quello mirato delle componenti politiche e culturali dei comitati e dei partiti.
Qui veniamo, però, alle osservazioni non totalmente omogenee ma entrambe significative avanzate da Giorgio La Malfa sul Mattino di qualche giorno fa e da Luca Ricolfi su 24 Ore di domenica. Allora c’è da dire che sulla politica economica Renzi fortunatamente è stato diverso sia da Monti che da Enrico Letta e ha contestato gli indirizzi ultrarigoristi dell’Unione Europea ( che però non contesta il surplus di esportazioni della Germania la quale non opera reflazione al suo interno) che stanno provocando l’implosione dell’Europa e la vittoria di populisti e di euroscettici. Ciò implica una riflessione insieme critica e autocritica su questi tre anni fondamentalmente positivi. Il fatto però è che Renzi è stato moderatamente “ renziano” nell’elaborazione della riforma costituzionale, troppo “ renziano” nella sua campagna referendaria e probabilmente poco “ renziano” nella politica economica. Renzi ha aperto un rapporto contrattuale con l’Unione Europea e quindi ha giocato negli interstizi dei vincoli comunitari, da un lato ha tagliato spese e tasse che però ha messo su altre poste, dall’altro ha ecceduto in bonus parcellizzati, ha però meritoriamente sostenuto gli imprenditori e in parte il reddito e il risparmio di una parte delle famiglie. Risultato: Renzi ha fatto una politica moderatamente espansiva che, essendo condizionata dai vincoli europei ha prodotto modifiche dallo zero virgola all’uno del Pil che non vanno affatto sottovalutate perché raggiunte con un grande sforzo, ma non ha prodotto quel salto di qualità che solo forti tagli alla spesa e altrettanto forti riduzioni alla pressione fiscale avrebbero prodotto sulla crescita che o è intorno al 2% o non viene percepita da giovani precari o senza lavoro e dall’area di povertà delle famiglie e della società. Su questo nodo i riformisti del centro e i riformisti di sinistra devono concentrare la loro attenzione perché gli altri ( M5S e leghisti in versione Salvini) puntano a ben altro, cioè a far saltare il sistema.
Ora il governo Gentiloni deve misurarsi con questo nodo essenziale, insieme alle legge elettorale che va fatta non dal governo ma a livello parlamentare coinvolgendo parte dell’opposizione, cioè Forza Italia. Per questo, e certamente non per la scadenza di settembre dei vitalizi di una parte dei parlamentari ( ma su questo ci ripromettiamo di intervenire) non sono condivisibili gli appelli a votare “ subito” entro marzo o aprile. A parte il fatto che questo appello è “ tecnicamente impossibile” come ha detto Giorgio Napolitano, non prendersi il tempo minimo necessario per intervenire sul piano economico– sociale vuol dire proprio non fare i conti con la lezione del voto referendario che in larga parte prescinde dai quesiti referendari ma invece riguarda i nodi della questione economico– sociale: la povertà di circa il 25% di famiglie e la disoccupazione del 36% di giovani. Allora in questo quadro giustamente dal loro punto di vista grillini e leghisti vogliono il voto subito: se i riformisti di sinistra e quelli centristi non si misurano in tempi assai rapidi con il messaggio sociale insito in una parte del voto per il No essi sono destinati nel futuro ad una sconfitta non più recuperabile. In modo altrettanto netto va detto però che chi, pur essendo lontano dai grillini punta ad “ elezioni subito” o ama la suggestione dannunziana della “ bella morte” o è inconsapevolmente suggestionato dagli slogan leghisti e grillini e pensa che la risposta va data sul loro stesso terreno, su quello del populismo, e di una sorta di “ machismo” inconsapevole di gareggiare per dimostrare “ chi c’è l’ha più duro”. Ma su quel terreno inevitabilmente i grillini batteranno tutti, anche il truce Salvini, che fa spesso la voce grossa per esorcizzare il fantasma di Berlusconi che rende agitate le sue notti perché potrebbe risorgere da Strasburgo.