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La NaDef, il documento che delinea i contenuti della prossima legge di bilancio piace perché ragionevolmente minimalista: manovra da 30 miliardi, di cui 23 per disinnesco clausole, 2 per spese indifferibili, 5 per fare qualche altra cosa. Come funziona l’impianto è abbastanza semplice ed è descritto dalla figura. Si parte dal rapporto deficit- PIL in assenza di provvedimenti pari all’ 1,4% ( per chi non ha consuetudine con la materia, trattandosi di deficit il numero vuole dire che le spese pubbliche saranno nel 2020 superiori alle entrate pubbliche di circa 25 miliardi di euro che diviso un PIL di 1.810 miliardi di euro fa appunto 1,4%). Il governo è nato per disinnescare gli aumenti dell’Iva ( 23 miliardi pari all’ 1,3% del PIL) e quindi facendolo porta il deficit al 2,7%. Ma questo costituirebbe un valore troppo alto per il consesso internazionale di cui facciamo parte; quindi l’esecutivo immagina di trovare maggiori risorse pari a 8 decimi di punto, con vari provvedimenti.
Al risultante 1,9 aggiungerebbe, poi, qualche intervento ex novo come un primo taglio del famigerato cuneo fiscale. Risultato finale è il rapporto deficit- PIL al 2,2%.
Apprezzo questo impianto perché è focalizzato su pochi rilevanti obiettivi: eliminare gli aumenti di tasse ed evitare la recessione. Non mi pare poco.
Sono presenti, tuttavia, alcuni punti oscuri che magari, con il confronto con le parti sociali, andranno chiariti. I nodi irrisolti sono i seguenti. Il punto di partenza è ottimistico, cioè il deficit è sottostimato. L’Ufficio Parlamentare di Bilancio lo valutava all’ 1,8% nel luglio scorso. Forse i maggiori risparmi su pregressi provvedimenti - quota e 100 e reddito di cittadinanza - sono oggi più evidenti e di maggiore consistenza ma francamente resta l’impressione di un tendenziale troppo esiguo. Questa preoccupazione è rilevante: se nel circuito in figura si dovrà correggere il punto di partenza, a parità di altri interventi e condizioni macroeconomiche, del medesimo ammontare si dovrà correggere il punto di arrivo.
E, quindi, una cosa è prospettare per il prossimo anno un 2,2% ben altra è un 2,4 o 2,5%.
Gli investitori istituzionali, quelli che si curano dei nostri risparmi, non i mercati cattivi, sono sensibili alle variabili di finanza pubblica e potrebbero reagire riducendo l’investimento nei nostri btp spingendo al rialzo i rendimenti sui titoli del debito sovrano.
Il secondo punto fastidioso è alla seconda riga della figura, dove si tratta di reperire risorse aggiuntive per abbassare lo scompenso descritto nella prima riga. Purtroppo nella Na-Def rispunta qualche pericolosa ambiguità nell’ambito del miscuglio lotta all’evasione e utilizzo moneta elettronica. Non si sa di cosa si tratti realmente, ma quanto sentito nelle scorse settimane ( Iva rimodulata, asimmetrica e selettiva su alcuni settori, per esempio) giustifica qualche preoccupazione. La tentazione di prendere troppi piccioni - modernizzazione del sistema dei pagamenti, lotta all’evasione e all’elusione, emersione del nero, reperimento gettito) con un'unica complicata e dannosa fava è assai forte. Non bisogna cedervi.
Io terrei la manovra così com’è e provvederei a incentivare l’uso del contante senza complicare il sistema dell’Iva, realizzando un cash back governativo al 2% che a grandi linee funzionerebbe come segue ( non è una novità bensì la sintesi emendata di altre proposte, con base ideale il premio per condotte meritevoli e semplificatrici piuttosto che l’improbabile lotta all’evasione, visto che il contante è conseguenza e non causa dell’evasione stessa). Se immaginiamo 240 miliardi di consumi con moneta elettronica e un raddoppio di tale volume in 4 anni a seguito dell’incentivo, il costo per l’erario sarebbe di 9,6 miliardi di euro ( cioè il 2% di 480 miliardi di euro). Il sostegno all’operazione verrebbe dalla tassazione del nuovo PIL pari a 4,8 miliardi, perché la parte iniziale del cash back ( il 2% sulla base di 240 miliardi di euro) costituisce un effetto reddito cui applichiamo una propensione al consumo pari a uno che porterebbe maggiore gettito pari a 2 miliardi di euro ( la pressione fiscale del 42% sul nuovo imponibile di 4,8 miliardi).
Se il 10% del volume migrato dal contante alla moneta elettronica sarà costituito da emersione di reddito - cioè di reddito tassato ad aliquota zero perché nascosto al fisco, mentre i consumi fanno già parte del PIL - applicandovi l’aliquota media sempre del 42% porterebbe circa 10 miliardi di nuovo gettito.
Quindi il bilancio sarebbe in pareggio ( dai conti sembrerebbe in attivo di 12,0 meno 9,6 miliardi, ma date le approssimazioni nei calcoli sarebbe pretenzioso evidenziarlo).
Poiché la compilazione dei conti pubblici richiede cautela e prudenza, è necessario un appostamento di risorse già dal 2020, entità da rinvenire dentro quei 5 miliardi di euro circa che risultano dalla differenza tra 30 miliardi di manovra complessiva e 25 miliardi di euro tra disinnesco Iva e spese indifferibili.
Ciò andrebbe contornato da una riduzione o azzeramento delle commissioni per pagamenti di importo unitario ridotto ( fino a 30 euro) e da sanzioni per chi si rifiutasse di accettare moneta elettronica.
Il terzo punto problematico è l’implicita riproposizione delle clausole Iva per il 2021, che da 28 miliardi di euro dovrebbero ridursi di uno o due miliardi.
Questo, assieme alle troppo esigue risorse per nuovi investimenti, ha fatto storcere il naso ad alcuni economisti di grido. La questione si aprirebbe a considerazioni politiche che non posso trattare.
Ci si dovrebbe chiedere se l’attuale maggioranza parlamentare che sostiene il governo ha visione, forza e coesione tali da potere sostenere una diversa e più incisiva legge di bilancio, incardinata su provvedimenti strutturali atti a disinnescare anche le clausole Iva per il futuro. Poiché io credo di no, devo accontentarmi dei pochi e rilevanti obiettivi che ( sulla carta) si otterrebbero attraverso il dispositivo della NaDef. Vale la pena provarci.
* Ufficio Studi Confcommercio