C'è un passaggio di particolare importanza che merita un serio approfondimento nella relazione introduttiva al Congresso nazionale forense di Rimini del presidente del Consiglio nazionale forense Andrea Mascherin.La tesi è questa: per quanto suoni paradossale in un periodo di crisi, siamo in un momento storico propizio all'Avvocatura. Proprio quando si è smarrita la fiducia nelle istituzioni e nella giustizia, l'Avvocatura può colmare questo vuoto reimpadronendosi della sua funzione ontologica: la difesa delle persone e dei loro diritti.Secondo Mascherin «l'Avvocatura ha l'occasione storica di farsi portatrice delle voci dei più deboli», svolgendo una funzione di mediazione culturale e sociale, un'attività equilibratrice tra il legislatore, la magistratura e i cittadini.La sua analisi è sintetica nelle forme ma profonda nei contenuti.L'Avvocatura ha nel suo Dna la capacità di dialogare, trovare accordi, costruire ponti nei rapporti interindividuali, quindi deve recuperare credibilità e dignità etica, superando qualunque logica di schieramento, per assurgere al rango di interlocutore privilegiato nella soluzione dei problemi che affliggono non solo la giustizia ma anche lo Stato sociale e solidale.Il presidente del Cnf rivendica la tradizione umanistica millenaria dell'Avvocatura per svolgere questo compito di mediazione che la politica non riesce più a concretizzare.«L'Avvocatura nasce prima della politica» è l'affermazione più forte del discorso di Mascherin perché contiene essa stessa una precisa indicazione politica - l'Avvocatura è in grado di indicare i percorsi risolutivi da intraprendere - ma anche un'analisi storico-filosofica che lo pone consapevolmente nel solco dell'insegnamento di fulgide figure come Marco Tullio Cicerone, Mohandas Gandhi o Piero Calamandrei, che prima furono avvocati e poi politici.Dal punto di vista storico, Mascherin ha pienamente ragione: è vero che l'Avvocatura esiste da prima della politica, allo stesso modo in cui il diritto precede la politica per una serie di ragioni: la presenza di regole è la naturale premessa di qualunque azione di governo, il contratto sociale è alla base dello Stato, la consuetudine è fonte del diritto anche in assenza di alcuna autorità politica legiferante.Si è soliti far coincidere la nascita della politica con la nascita della polis greca dalla quale trae origine il vocabolo in unione alla parola tékhne (arte), letteralmente "arte di governare", per cui non può farsi risalire a prima dell'VIII secolo avanti Cristo, anche perché le civiltà più antiche concentravano il governo nelle mani del faraone o del sovrano, tale per diretta investitura divina indi plenipotenziario e legibus solutus, quindi non implicavano la compartecipazione alle decisioni propria della politica per come viene intesa tale disciplina.Invece, la difesa dei propri simili, l'interposizione mediatoria di un soggetto tra la persona e lo Stato, tra l'essere umano e l'ordine costituito, tra l'accusato e l'accusatore, è un fenomeno "naturale" molto più antico e diffuso in tutte le culture.Anche se la storiografia riconduce al basso impero romano la nascita "ufficiale" della figura dell'avvocato, allorquando le due funzioni di iurisconsultus e di orator, prima disgiunte, vennero ad essere esercitate congiuntamente da un unico soggetto, è dimostrato dagli studi archeologici che le tribù primitive praticavano il cerimoniale del processo, affidandolo a giudici e difensori ad hoc, che risolvevano le controversie tra gli appartenenti alla tribù sulla base di norme consuetudinarie di natura etico-religiosa, tramandate di generazione in generazione.La nascita della figura e del ruolo dell'avvocato trova esempi nelle grandi civiltà del remoto passato, in particolare tra quelle sviluppatesi nei territori della "Mezzaluna fertile", lungo le rive dei grandi fiumi, il Tigri, l'Eufrate, il Nilo.«Le istituzioni civili dell'antico Egitto furono imitate, copiate, dalle civiltà meno antiche. Il diritto egiziano ebbe grandissima influenza sul diritto greco-romano, da cui derivò quello dei popoli moderni» (D. Cinti, Storia delle religioni, 1949).Il primo avvocato che il mito ricordi fu probabilmente il dio egizio Thoth, il quale difese Osiride dal processo intentatogli dinanzi al tribunale degli dei di Eliopoli dal suo nemico implacabile, il fratello Seth, come narra il Libro dei Morti (XVIII dinastia, 1580-1515 a. C.).Accanto al "processo degli dei contro altri dei", le tradizioni religiose tramandano l'idea di un vero e proprio "processo alle anime umane".La psicostasia, cioè il giudizio divino espresso attraverso la "pesatura delle anime", con cui l'anima del morto viene ponderata su una bilancia per verificarne la meritevolezza ad ascendere alla vita eterna, ricorre in varie religioni, sin dai Gatha, nella religione mazdea-mitraica, in quella ebraica con la letteratura apocalittica, in quella islamica, nonché nell'iconografia cristiana, in cui è l'arcangelo Michele a fungere da giudice, mentre Satana cerca di tirar giù il piatto delle colpe onde accaparrarsi nuove vittime per gli infernali supplizi. Il difensore dei peccatori è la Madonna Theotokos (madre di Dio), avvocata nostra, ad vocata, cioè chiamata al precipuo compito di rappresentarci e difenderci nel Giudizio Universale.Un modello originario di psicostasia viene descritto nei geroglifici egizi. Come il moderno processo, esso si articolava in una serie di fasi, una delle quali era costituita da una professione d'innocenza, che conteneva allo stesso tempo principi religiosi, morali e giuridici.Veniva posta su uno dei piatti della bilancia una piuma, simbolo della Verità, nell'altro il cuore del defunto, a favore del quale il dio/avvocato Thoth profferiva una memoria scritta (una sorta di comparsa conclusionale), incisa con lo stilo su una tavoletta.*L'autore è un Avvocato del Foro di Bari