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A ciascuno di noi sarà capitato durante le settimane di lockdown di avere incrociato lungo il percorso che porta dalla abitazione ad un supermercato un’altra persona e di essersi posto la domanda, nemmeno tanto esplicita, se ci si potesse aspettare che rispettasse le regole del distanziamento inter- personale. Perché le regole che regolano le relazioni – come per esempio quella spaziale – se non si rispettano in due non esistono affatto.
Quel breve, rapido, quasi impalpabile momento di verifica riguarda la reciprocità che ci si puo’ aspettare quando le regole sono nuove e nessuno sa se l’altro le rispetterà con la stessa premura, lo stesso grado di rigore con cui lo faremo noi. La reciprocità del seguire una regola che non si è mai seguita è già di per sé tutto un mondo cognitivo, emotivo, culturale da esplorare. Lo abbiamo fatto. Questa esperienza noi la abbiamo fatta. Era un inedito, da molto molto tempo, e per molte generazioni mancanti dell’esperienza dei momenti fondativi – dal momento della creazione della Repubblica al momento della creazione della Comunità europea dell’energia e dell’acciaio – un momento portatore di profonde conseguenze. Perché in quell’incrociarci, sbalorditi noi stessi delle nuove regole – per quanto temporanee, per quanto emergenziali – ci siamo scoperti protagonisti della costruzione di un delicato e vitale meccanismo di reciprocità attesa, anzi, pretesa ( la vita non è un bene il cui rischio siamo disposti a gestire con ampi margini di rischio ed incertezza). Ne sono discese diverse esperienze sul fenomeno della regolazione sociale ma anche del posizionamento che ciascuna cittadina e ciascun cittadino assume rispetto a temi che da soli spostano le stelle polari della vita civile, come la solidarietà, l’equità e l’uguaglianza. Qual è il gruppo di persone, la comunità, il corpo sociale rispetto a cui ci sentiamo di impegnarci in una interazione basata sulla reciprocità capace di dare fondamento – questa volta sì nuovo – ad un contratto sociale che in qualche modo detti il perimetro di cosa siamo noi in prima persona disposti a fare per il nostro futuro, anche per quello i cui benefici non saremo noi a godere?
Reciprocità e solidarietà che come vediamo segnano il dibattito sull’Europa. Ci stiamo infatti interrogando, più o meno esplicitamente, su quale sia il bacino, l’ambito rispetto a cui pensiamo, ci sentiamo di impegnarci in una interazione di reciprocità solidale, lo stesso tipo di questione che il Covid 19 ha in qualche modo indotto a formulare a livello di regioni nel nostro paese. Ci si impegna in relazioni di reciprocità solidale quando ci si riconosce come uguali per qualche aspetto, uguali per condizioni – prima ancora che per prospettive. Insomma, saremmo disposti a sottoscrivere un contratto sociale in cui siamo certi che se in un domani indeterminato avessimo – noi come ‘ regione x, paese y, comunità z’ – bisogno di contare sul rispetto delle regole, delle stesse regole perché solo cosi ci si salverebbe, potremmmo davvero contarci? A quale livello di governance lo sottoscriveremmo?
Guardiamo alla questione ambientale. Le giovani generazioni hanno chiarissimo che il livello di reciprocità – perché ciascuna e ciascuno è chiamata e chiamato a fare la propria parte – è e deve essere globale. Solo un cambiamento di comportamenti auto regolati da nuove visioni del vivere quotidiano potrà incidere positivamente sulla qualità dell’ambiente di tutti. Ma si potrebbe ragionare con gli stessi termini anche per il dilemma che sta attraversando l’Europa. Un contratto sociale nuovo. Non un accordo fra Stati: questa volta non sarà sufficiente a legittimare qualsiasi decisione venga presa, per quanto essa possa un giorno rivelarsi alla prova dei fatti efficace. Questa volta i cittadini e le cittadine hanno fatto una esperienza che di solito si fa solo per esperimenti mentali quando si ragiona di ricerca sociale: si sono vissuti nel silenzio del lockdown eguali nelle condizioni di precarietà e per questo ciascuna o ciascuno responsabili di reciprocare, di fare esattamente la stessa cosa, perché il benessere dell’altro è anche il benessere mio e viceversa, così come è, se visto a livello aggregato il benessere di tutti. Forse per molto, molto tempo siamo stati profondamente disincantati dai contratti sociali. Ma le energie mentali, sociali e culturali che sono state attivate dalla esperienza dirompente che è stata fatta in tutto il mondo fanno delle società oggi esigenti e responsabili attori di primo piano di un momento che puo’, se lo consideriamo in tutta la sua portata, rifondativo. Cum grano salis.