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Giorgio De Stefano
C’è stata molta discussione sulla sentenza della Cassazione a proposito della violenza sessuale di due cinquantenni su una ragazza. La Cassazione ha cancellato l’aggravante dell’ubriachezza della ragazza - a carico dei due imputati - e ha rimandato il processo in appello. Un gran numero di parlamentari, giornaliste, intellettuali, sono insorte, sostenendo che è una sentenza che riporta indietro le lancette dell’orologio e ci rimanda a quando lo stupro era un reato contro il costume, non contro la persona, e la vittima, di solito, era considerata più o meno complice.
Poi c’è stata la risposta di altri giornalisti e intellettuali - tra loro Marco Travaglio - che hanno spiegato che le cose non stanno così: la Cassazione ha confermato la condanna e l’esistenza del reato, dunque non ha compiuto nessun gesto medievale, ha solo detto che non esistevano le condizioni per l’aggravante, perchè dai processi di primo e di secondo grado appariva evidente che la vittima dello stupro non era stata costretta a bere molto alcool ma lo aveva bevuto di sua volontà. Ma perché il governatore sta in prigione e gli stupratori no?
Obiezione, francamente ragionevolissima: se non ci fu costrizione, dov’è l’aggravante, visto che la legge prevede che la vittima sia stata costretta a bere, o a drogarsi, perché scatti l’aggravante? E perché mai se in un processo si esclude una aggravante allora si giustificano i colpevoli e si colpevolizza la vittima? Non è logico: il reato è quello, è confermato e sanzionato, poi se c’è l’aggravante o no lo si stabilisce sulla base dei fatti e delle prove.
Nessuno però ha posto un problema che a me sembra colossale. La misura delle pene per i vari reati previsti dal nostro codice penale.
Da uomo della strada, privo di approfondite conoscenze giuridiche, faccio questa semplice domanda, che a me pare di buon senso: come mai l’ex governatore della Calabria, Giuseppe Scopelliti, sta trascorren- do i suoi giorni in prigione perché ha subito una condanna a quasi cinque anni di carcere per falso in atto pubblico, e invece quei due signori riconosciuti colpevoli di aver violentato una ragazza subiranno alla fine una condanna certamente inferiore ai tre anni, decisamente più lieve dio quella di Scopelliti, e non saranno costretti ad andare in cella?
Scopelliti è stato condannato per aver firmato alcuni documenti, quando era sindaco di Reggio Calabria ( e firmava, suppongo, decine di documenti ogni giorno, che gli venivano proposti dai suoi uffici o dagli assessorati). La magistratura ha ritenuto che gli atti realizzati in seguito a quei documenti fossero illegittimi, e che la responsabilità oggettiva fosse di Scopelliti. Perciò lo ha condannato ad una pena molto alta, nonostante la ragionevole tenuità del reato, e qualcuno sospetta - magari sbagliando - che lo ha fatto per evitare che una pena più leggera impedisse la sua incarcerazione, e volendo invece inviare un segnale - per così dire - di potenza: spediamo in carcere quello che era considerato l’uomo politico più importante della Calabria.
Nel caso degli stupratori non si poneva invece nessun problema di “messaggio”. Sono stati condannati a una pena leggermente inferiore alla pena minima prevista dal codice, perché sono state loro riconosciute le attenuanti generiche ( visto che erano incensurati). Mi pare che sia stata pienamente applicata la legge. Il problema forse è: ma è ragionevole la legge?
Allora ho un po’ scartabellato il codice per accertare quanto segue. Il delitto di stupro è punito con una pena che va dai 5 ai 10 anni, con la possibilità di una riduzione di pena fino ai due terzi. Quindi è possibile essere puniti con una pena di un anno e otto mesi. Il reato di corruzione impropria viene punito con una pena che va dai 6 ai 10 anni. Dunque è considerato più grave del reato di violenza sessuale. E così anche il reato di peculato ( dai 6 anni ai 10 anni e sei mesi). Nel caso di concussione la condanna può arrivare anche a 12 anni, quindi è decisamente più grave dello stupro. Per il piccolo spaccio le pene si impennano: dai 6 ai 20 anni. E’ molto, molto più grave vendere, magari a un amico sessantenne, qualche grammo di marijuana o di cocaina piuttosto che mettersi d’accordo con lui e stuprare una ragazza o una signora.
Non so se tutto questo sia ragionevolissimo. E non so se non dipenda un po’ dallo spirito dei tempi, che tende ormai a considerare il reato più o meno connesso alla corruzione come l’unico vero cancro della nostra società.
L’indignazione di molte donne e intellettuali per la sentenza della Cassazione era giusto? Io non credo, a me sembra che quella sentenza abbia un senso. Forse bisognerebbe rimettere mano al codice, però senza farsi influenzare dai giornali che scrivono che i corrotti la fanno tutti franca, e bisogna inseguirli, braccarli, ingabbiarli e punirli. Non credo che si debbano aumentare le pene. Bisogna fare il contrario. Lo svilupparsi della civiltà è sempre stato accompagnato da una revisione “a scendere” delle pene. Ne viene attenuata la durata e la crudeltà, si cerca di renderle meno afflittive e più rieducative, si cerca di abolire la pena di morte, dove ancora esiste, e di attenuare le pene detentive. Anche Beppe Grillo qualche giorno fa, a sorpresa, ha rilasciato delle dichiarazioni che vanno in questo senso.
Si tratta di rivedere le pene, credo, per attenuarle, e anche prevedere un sistema robusto di pene alternative. Ma anche, forse, bisogna ricostruire una gerarchia ragionevole dei reati. Che mettere una firma sbagliata su un foglio di carta sia più grave che stuprare una donna, francamente, grida vendetta al cielo.