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In tempi di covid- 19 parlare di anticorpi è particolarmente benvenuto. Il corpo ha i propri e le democrazie, anche. A cosa servono gli anticorpi di una democrazia? A proteggersi dagli attacchi: ma quali? Quelli che sono fisiologici nella vita delle istituzioni e quelli che sono patologici, ovvero che sono il frutto di una malaugurata combinazione di fattori. È fisiologico che le democrazie si trovino a scegliere, in fondo sono state consolidate per questo, per scegliere nel modo che, meglio di altri, permette di rispettare i diritti fondamentali. Ma quando la lista dei diritti aumenta, come auspicabilmente accade nel progredire della storia, la scelta diventa complicata.
Cosi accade che si debba combinare sicurezza pubblica con libertà di espressione e di associazione, che si debba combinare salute pubblica con libertà di movimento e libertà economica. E talvolta accade anche che in una scelta “critica” – nel senso etimologico del termine, che segna una cesura fra un prima e un dopo – si comprima le seconde – le libertà – per tutelare le prime, le sicurezze e la salute. Le scelte critiche fanno parte anche di quella cultura istituzionale di alta visione che vive nelle corti supreme, in molti paesi del mondo anche nonostante le derive autoritarie della politica rappresentativa ed elettiva.
Il bilanciamento di beni soggettivi e di principi che ispirano la giustizia costituzionale è pero’, in fondo, il punto più alto di una cultura, quella dello Stato di diritto, che il cittadino si aspetta vibri nei palazzi di giustizia quando a fronte di un contenzioso si tratta di scegliere ma senza cedere sulle libertà fondamentali nemmeno – anzi soprattutto non – della parte soccombente.
Poi ci sono le situazioni patologiche. Non si tratta di situazioni che nascono da malattie, ne abbiamo viste ad ogni istante in questi giorni: lockdown, autocertificazioni, chiusura dei parchi, delle biblioteche, dei musei, degli esercizi commerciali e delle attività produttive, allontanamento dalla rete dei cari più prossimi, la lista potrebbe continuare e ne abbiamo tutti esperienza. La patologia sta nella modalità con cui si gestiscono i passaggi dallo stato di emergenza allo stato di normalità, qualsiasi cosa esso significhi sul piano della modalità di interagire nella società, di certo sappiamo come non deve essere sul piano della modalità di agire da parte dello Stato. Se infatti l’intelligenza adattiva delle istituzioni si erge a baluardo delle società in fasi di emergenza e si prende per cosi dire la responsabilità – immensa – di mettere le mani su quelle cose delicatissime la cui conquista ha comportato moltissime vite e sacrifici per secoli, le libertà individuali, la stessa intelligenza istituzionale è chiamata a riprendere la scena e farsi carico di questo una volta che si esca dallo Stato di emergenza. Dove sta questa intelligenza? Più nelle istituzioni che nelle singole individualità.
È per questo che abbiamo inventato – siano ringraziati i costituenti – la costituzione ed è per questo che abbiamo creato le regole, quelle che sono prime rispetto alle persone, che a quelle regole devono rendere conto non solo dopo avere agito, ma soprattutto prima di avere ancorché deciso. Cosa significa tutto questo? Che è oggi vitale che siano riconosciuti i loci dei nostri anticorpi democratici: incardinati nelle modalità di prendere decisioni bilanciate e trasparenti e aventi una eco necessaria quanto vitale nelle intelligenze sociali e civiche, quelle che hanno nutrito una cittadinanza attiva vera in questi mesi. Quelle intelligenze vanno nutrite di informazioni, create e diffuse in modo sano, non patologico, sano in senso di rispondenti alla razionalità della scienza, delle scienze naturali, delle scienze matematiche, a che sia impossibile che una cittadina o un cittadino siano deboli dinnanzi ad informazioni fake.
Quelle intelligenze vanno nutrite della consapevolezza di cosa, sul fronte delle libertà processuali, non va ceduto: che sia digitale, non digitale, in presenza o in modalità mista o in qualsiasi altra modalità che la tecnologia vorrà e saprà inventare, resta un punto forte, un punto del pensiero non debole: intelligenza tecnologica è strumento, la intelligenza delle nostre regole è la architettura.
Ben poco avremo progredito come società se per vertigine della responsabilità e dell’urgenza avessimo abdicato alla vibrante richiamo di quella intelligenza che è costruire un significato con l’esercizio delle nostre libertà. Insomma, usciamo dal lockdown: facciamo di questa uscita anche un momento di riflessione, informata, su quanto siano di fatto diffusi i diapason che permettono a ogni cittadino e cittadina di sapere quando è il momento di comprimere le libertà per un obiettivo collettivo, senza perdere il senso di quelle libertà che vive e canta nei flash mob, nei gesti di chi riavvia i negozi e le attività produttive, di chi sale sui mezzi di trasporto, rispettosa e rispettosa delle misure di protezione individuale e va ad esercitare la propria attività e il proprio talento.
Insomma, come già Calamandrei, gli anticorpi del corpo costituente vivono nelle azioni che inverano in ogni istante la costituzione, le sue libertà.