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Uno degli effetti della pandemia ( non ultimo a importanza, benché ancora sottostimato) sarà il ricalcolo di molte nomee consolidate. Quanti libri infatti il Covid- 19 renderà d’improvviso vecchi e illeggibili, perché troppo simili a favole della buonanotte? Sorte critica questa che verosimilmente non toccherà le opere dei grandi pessimisti e nichilisti, le quali ora sono à la page, apparendo – per loro intrinseca tetraggine – come tanti instant book.
Tra questi autori immarcescibili spicca Friedrich Nietzsche, il profeta della morte di Dio e del Cristianesimo, che oggi forse gongolerebbe come chi sente d’aver avuto infine ragione. La bibliografia su di lui è sterminata e - dopo il Covid- 19 - crescerà ancora, eppure i libri davvero notevoli sono pochi. Tra questi uno è Colli, Montinari e Nietzsche di Sossio Giametta, pubblicato di recente da BookTime edizioni. Giametta ha tradotto tutto Nietzsche e viene considerato uno dei suoi massimi conoscitori al mondo. Qui egli ripercorre - in qualità di testimone de visu et auditu - la nascita dell’edizione critica delle opere nicciane, stampata negli anni Sessanta in Germania Francia e Italia.
Edizione subito di riferimento, scevra da manipolazioni politiche ( dimostra per esempio l'irrealtà del libro La volontà di potenza su cui peraltro Heidegger centrò la sua interpretazione nicciana) e che ha contribuito alla Nietzsche Renaissance. Ebbene tale impresa filologica altamente meritoria la si deve alla perseveranza di due uomini - Giorgio Colli e Mazzino Montinari - i quali assieme a un pugno di giovani filologi ( tra cui appunto Giametta) la portarono a termine in meno d’un lustro tra l’Italia e Weimar ( allora nell’asfittica Repubblica Democratica Tedesca). Le figure umane e intellettuali di Colli e Montinari ci vengono presentate in due splendidi minuziosi viventi medaglioni che, per conoscenza diretta e penetrazione psicologica, quasi ricordano certi memorialisti francesi tipo Retz o Saint- Simon. Giametta cioè ce li mostra sì di fronte, ma anche dall’interno e persino di sguincio ovvero non risparmiando loro qualche dura critica, come esige un precetto aureo in filosofia: Amicus Plato, sed magis amica veritas.
Inoltre questo Colli, Montinari
e Nietzsche è anche un libro personale, una sorta di diario postumo, dove l’autore ricorda le vicissitudini della propria vita: la rinuncia a un lauto posto in banca per andare dietro alla povera e nuda filosofia, fino all’abbandono forzoso dell’Italia ( paese dove troppo spesso chi si consacra alle lettere sta come un cane in chiesa) per approdare a Bruxelles e a un impiego presso l’Unione Europea.
Sullo sfondo scorrono alcuni importanti capitoli di storia editoriale italiana: il celebre ( e assai chiacchierato) “no sinistrorso” di Einaudi alle opere complete di Nietzsche e la conseguente nascita dell’Adelphi per pubblicarle ( con quei primi volumi “belli ma leccati” secondo una battuta di Colli che ancor oggi s’attaglia a meraviglia all’Adelphi, editrice valida ma un po’ vanesia).
Insomma un volume densissimo e imprescindibile per tutti gli amatori della filosofia, che scorribanda bravamente tra editoria e filologia, assurgendo a fonte di primaria importanza. Pure la cosa più bella di questo Colli, Montinari e Nietzsche, davvero commovente, è che un uomo di novant’anni voglia dedicare un libro di testimonianza, ammirazione, riconoscenza ai suoi due maestri e che al contempo, per dimostrare d’esser stato un buon allievo, d’aver ben appreso da loro, li giudichi a tratti anche con severità (“tristo è quel discepolo che non avanza il suo maestro” ammoniva già Leonardo da Vinci).
Un libro così te lo aspetti da un giovincello che vuole incensare il proprio maestro, metterlo sopra un piedistallo tanto improvvisato quanto traballante; difficile il contrario, difficilissimo se realizzato in modo così limpido e serio.
Segno sicuro d’una grande signorilità, onestà e civiltà intellettuale: tre pregi di spirito da cui occorre più che mai ripartire oggi, dopo tanti orrori.