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Quando Covid19 ha iniziato a stravolgere le nostre vite, il nostro quotidiano, le nostre relazioni avevamo due certezze: ce l’avremmo fatta e ne saremmo usciti migliori. Abbiamo coniato hashtag, slogan, mood in rete, una mobilitazione individuale, casalinga e, allo stesso tempo, collettiva per dare forza a queste convinzioni. Ce la stiamo facendo, stiamo vincendo la sfida contro una malattia nuova con grande senso civico e di responsabilità. Ma non siamo migliorati. Magari abbiamo scalato qualche posto nella classifica mondiale del civismo, abbiamo dimostrato e acquisito un rapporto con le leggi e con il rispetto delle norme migliori e siamo cittadini più maturi, ma non siamo migliorati. Il Covid19 non ha fatto il miracolo di trasformare un popolo impaurito e spaventato, pronto a chiudersi al mondo e con una tendenza al cattivismo. La liberazione e il ritorno in Italia di Silvia Romano lo hanno dimostrato. “Cosa vedi in questa immagine?” - domandava ieri mattina Mauro Biani ai suoi lettori davanti al disegno dell’abbraccio fra Silvia e sua madre. È l’immagine della gioia, della liberazione dopo mesi di attesa, la fine felice di una brutta storia, il ritorno al sorriso di un’intera famiglia dopo mesi di angoscia e paura. Alcuni, però, guardando quell’abbraccio hanno notato l’abito di Silvia, segno della sua scelta di fede, come se fosse affare di Stato e di pubblico dibattito il percorso umano e interiore di una giovane donna. Non è mancato chi ha voluto accompagnare quell’immagine col solito retroscena politico fatto di dissapori, gelosie e gare di visibilità tra presidente del Consiglio e ministro degli Esteri. Sia chiaro, la tensione tra i due era evidente, così come la competizione a prendersi lo scatto migliore accanto a Silvia, ma il centro della scena era – e doveva essere – lei. Altri hanno immediatamente pensato al riscatto pagato: troppo? In che tasche è finito? Come lo useranno i suoi rapitori? Ed è su questi interrogativi che l’ottimismo sul possibile nostro miglioramento come cittadini vacilla pericolosamente. Sono due mesi che facciamo la triste conta delle vittime da Covid19, ogni giorno numeri drammatici. A guardarlo oggi quel bilancio che la Protezione civile ogni giorno è costretta ad aggiornare ci ricorda la montagna di dolore che questa epidemia ha consegnato al nostro Paese. Era logico sperare di aver compreso il valore di ogni singola vita umana davanti a una tragedia tanto grande. Era normale immaginarsi di aver creato una scala di priorità e valori diversi. Il sacrificio di medici e infermieri, l’impegno che ciascuno di noi ha messo nel rispettare il regime di lockdown sono la dimostrazione che un altro modo di guardare il mondo era possibile. Poi il ritorno di questa giovane donna ha rotto l’incantesimo e ci siamo ritrovati col solito ritornello di frasi fatte, allusioni, improponibili paragoni. Un corollario retorico incomprensibile in un’epoca normale, ma che diventa abnorme davanti a un Paese tanto ferito. «Chi salva una vita umana salva il mondo intero» è scritto nel Talmud, uno dei testi sacri dell’ebraismo. Un monito da tenere a mente in queste ore guardando il sorriso di Silvia, la gioia della sua famiglia e quella della sua città, Milano, che tanto ha sofferto per Covid19. Ma, quella è e deve essere la gioia di tutti noi, che abbiamo ritrovato questa giovane donna. Una gioia da esibire, da rendere virale in rete e nel Paese e da usare come vessillo per provare a gettare tutti insieme veramente le basi per una stagione nuova. Qualche giorno fa il mai banale Michelle Houellebeq ha guardato senza ottimismo al dopo Covid19, scrivendo: «Non ci sveglieremo, dopo il confinamento, in un nuovo mondo; sarà lo stesso, un po’ peggiore». Può avere ragione, può essere questo il nostro destino dopo l’epidemia. I segnali ci sono, li abbiamo visti in azione in questi ultimi giorni. Serve una risposta forte fatta di civismo, umanità e senza alcun timore di prestare il fianco alle accuse di buonismo. Il dopo Covid19 inizia anche da qui.