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È il codice deontologico del Consiglio nazionale forense il primo testo normativo tradotto integralmente in cinese, diventando parte fondamentale dell’insegnamento per le professioni legali. Ad occuparsi della traduzione è stato Ivan Cardillo, giurista e sinologo, docente di diritto comparato, comparazione tra la cultura giuridica occidentale e quella cinese, diritto e cinema presso la Zhongnan University of Economics and Law di Wuhan, che ieri ha consegnato il volume alla Commissione deontologica del Cnf.
Professore, come mai ha tradotto questo testo?
L’occasione è data dalla redazione di un manuale per l’insegnamento della deontologia delle professioni legali in Cina, diventato indispensabile alla luce di un progetto del ministero dell’Istruzione e del ministero della Giustizia per migliorare la qualità del servizio. Il corso è obbligatorio in tutte le circa 600 facoltà di giurisprudenza in Cina e si inserisce in un progetto più ampio che vuole concretizzare la volontà dei leader di governo cinese di migliorare la deontologia. Xi Jinping enfatizza sempre di più l’importanza del ruolo della morale, dei principi etici e della virtù all’interno dell’amministrazione dello Stato e da quel principio è partita un’attività di formazione e di sensibilizzazione su questi temi. Inoltre è stato riformato anche l’esame per l’accesso alle professioni legali, per cui in base alle nuove regole le domande sulla deontologia hanno un valore maggiore e discriminante.
C’è stata anche una riscrittura del codice civile…
È un progetto che dura da vent’anni. Nel 2018 è stata promulgata la parte sui principi generali, mentre la bozza della parte speciale è stata inviata al comitato permanente. Vediamo se a marzo, in occasione della “doppia sessione”, sarà promulgato. Il testo è ancora alla lettura delle varie commissioni speciali, quindi immagino serva ancora del tempo, ma l’idea è di avere, nel 2020, il codice civile cinese.
Un codice dalla forte impronta italiana, giusto?
Sì. La Cina guarda molto all’occidente continentale per l’elaborazione del diritto. Di certo l’attenzione per la storia del diritto è importante, per cui anche il presidente Xi Jinping parla di costruire il pensiero socialista cinese della nuova era ereditando gli elementi portanti della tradizione, che legittimano e danno identità. Quando guardano alla storia dell’occidente, inevitabilmente, finiscono all’Italia e al diritto romano, che è il più antico ed è un punto di riferimento.
La redazione di un codice civile implica anche la costruzione di diritti civili. Si apre una nuova era in Cina?
La tutela dei diritti fondamentali, tra i quali il diritto alla difesa, è un tema importante. Sono diritti con una forte connotazione politica e il Paese sta cercando di trovare una propria strada. Si sta sperimentando un sistema dei crediti sociali, per cui i diritti fondamentali sono tutelati in base al buon comportamento del cittadino, come se si avesse una patente a punti che ad ogni infrazione comporta la perdita di una porzione di diritti.
Quindi ci sono ancora molti passi da fare per avvicinarsi al nostro sistema di tutela.
Sicuramente sì, perché ci sono grosse limitazioni in un sistema di premi e punizioni che ha le sue radini nella Cina imperiale. Oggi nella Costituzione sono riconosciuti i diritti, il problema è che il giudice non può appellarsi ad essa per il loro riconoscimento. Manca una Corte costituzionale, c’è una Suprema Corte del popolo e l’applicazione della Costituzione e quindi la salvaguardia dei diritti fondamentali è di competenza dell’Assemblea nazionale del popolo. C’è interesse a sviluppare tale discorso, ma la Cina è un Paese enorme, per cui prima di applicare una politica c’è una lunga fase di preparazione.
Il codice deontologico del Cnf può contribuire?
È aun primo passo per sviluppare una certa sensibilità nei confronti del tema e per far capire che questo codice esiste ed è legge che va rispettata dagli avvocati italiani in Cina e da quelli cinesi in Italia. Allo stesso tempo è un modo per accendere un faro. Ci sarà sicuramente ad una revisione normativa, non so se arriverà ad un codice deontologico vero e proprio, anche se nel dibattito scientifico se ne parla già.
Ci sarà anche uno scambio con l’avvocatura italiana?
L’idea è quella di creare un dialogo che può avere varie forme, come colloqui, seminari, corsi di formazione, per chi si vuole occupare di Cina e anche per creare forme di partenariato dall’altra parte del mondo.
Quali sono le grandi differenze tra il diritto cinese e quello italiano?
Una differenza fondamentale è la percezione che la società ha dei diritti e il ricorso al diritto. C’è ancora una scarsa consapevolezza, in Cina, dell’idea della rivendicazione di un diritto in sede giurisdizionale. C’è una cultura diversa, basata più sulla mediazione, che si vede sia nei rapporti interpersonali sia nel modo di guardare all’amministrazione.
Cosa potremmo apprendere dal loro sistema?
Un’idea di una società armonica. Il ricorso alla mediazione è un fatto culturale, una forma di gentilezza alla quale l’Italia potrebbe ispirarsi. Quando torno qui mi sembra di trovare un posto più incattivito rispetto a come l’avevo lasciato.
Il Cnf, in tal senso, ha promosso una campagna contro il linguaggio d’odio. Questo aspetto culturale della Cina potrebbe essere un contributo a questa battaglia?
Certo. Cito un passo: un discepolo chiede a Confucio quale consiglio darebbe ad un imperatore. Lui risponde: usare un linguaggio appropriato, dare il giusto peso alle parole, che portano con sé gravità e si ricollegano alla responsabilità e al ruolo che ognuno gioca nella società. L’idea del governare tramite gli esempi è un elemento importante che andrebbe recuperato.