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Marco Tarchi, professore ordinario di Scienze politiche all’università di Firenze
Da una parte c’è Fdi, per il quale «l'incidente accaduto a Biella non ha alcuna rilevanza politica», dall’altra le opposizioni, che richiamano l’attenzione sull’inadeguatezza della classe dirigente meloniana. In mezzo, il deputato Pozzolo, che si rifiuta di sottoporsi all’esame della polvere da sparo. Per Marco Tarchi, politologo all’università di Firenze, «se non c’è stata sua responsabilità nello sparo, questo modo di fare è stato insensato; se invece c’è stata, sarebbe stato molto meglio, per lui, ammetterlo e spiegare la dinamica dell’accaduto».
Professor Tarchi, la presidente Meloni è alle prese con il caso del deputato Pozzolo: crede che il fatto testimoni la difficoltà che Fdi ha nella creazione della classe dirigente di un partito che fino a pochi anni fa aveva consensi di pochi punti percentuali?
Non generalizzerei. Il problema esiste, ma prenderne ad esempio questo caso sconcertante potrebbe portare a conclusioni sbagliate. Fratelli d’Italia ha assorbita una parte, seppur limitata, dei quadri intermedi di Alleanza nazionale, che avevano già un’esperienza politica consolidata. A questi si sono aggiunti gli esponenti della cosiddetta “generazione Atreju”, il cui limite è di essere cresciuti in un contesto in cui ci si occupava più di scelte ideali che di problemi pratici, per poi approdare ad un partito che faceva dell’opposizione ai governi la sua arma principale – con tutto ciò che ne consegue in termini di abitudini a una certa radicalità nei toni. Il passaggio al governo è stato troppo rapido e brusco per favorire un adeguamento immediato ai nuovi compiti, ma non bisogna trascurare il fatto che vari esponenti del “terzo partito della Fiamma” occupano già da qualche anno incarichi amministrativi di rilievo, a partire dalle presidenze di Regione. Per quella via si impara, e mi sembra che già una parte del ceto parlamentare del FdI sappia interpretare il suo ruolo in modo corretto.
Negli anni il consenso di Fdi ha raccolto anche i cosiddetti moderati, che durante la discesa di Berlusconi hanno deciso di affidarsi prima a Salvini e poi a Meloni: crede ci sia una disparità tra la capacità di creare consenso e quella di creare un proprio apparato dirigente di partito?
Questa disparità c’è sempre stata, e dopo Tangentopoli si è manifestata in tutti i partiti: lo hanno dimostrato ampiamente i Cinquestelle, ma non sono stati esenti dal problema nemmeno Forza Italia o il Pd. Un po’ meno la Lega, perché è un partito nato in alcuni territori e che in pochi anni ha saputo crearsi un ceto di amministratori all’altezza; ma anche lì, una volta usciti dai feudi del Nord, le difficoltà sono venute a galla. Quanto ai moderati, vedo che ci si comincia finalmente a chiedere (ad esempio, sul Corriere della Sera) chi siano e se ci siano davvero. Ho sempre diffidato di questa etichetta, che poteva avere un senso ai tempi di Dc e Pci in cui le ideologie avevano un peso ben diverso da adesso e, in certi decenni, avevano arroventato il clima a tal punto da far nascere gruppi terroristici e obbligare chi teneva ben distinte politica e violenza a sottolineare, con l’espressione di cui stiamo parlando, la propria dissociazione. Usarla oggi, però, vorrebbe dire considerare gran parte dell’elettorato, quella che non si riconosce nelle formazioni centriste come una massa di estremisti, in potenza o in atto. Mi pare una rappresentazione fallace, così come lo è quella che accomuna tutti i “non moderati” sotto l’etichetta di populisti, facendo di questo aggettivo – che ha un significato in origine piuttosto preciso – un’arma multiuso per screditare ogni avversario che ci si trova di fronte.
Episodi simili in passato sono capitati anche ad altri partiti, eppure Fdi sta provando, anche mediaticamente, a non far passare l’accaduto come un “caso politico”. Pensa sia una strategia giusta o Pozzolo dovrebbe essere “richiamato” dai dirigenti del partito?
Entrambe le opzioni sono praticabili. Era inevitabile che attorno ad un simile episodio si innescasse una campagna polemica guidata dall’opposizione, tendente a far credere che, dietro la facciata, tutti gli esponenti di FdI sono dei violenti e degli irresponsabili. Reagire alla strumentalizzazione di chi attacca la “destra pistolera” e fa – è il caso di dirlo – d’ogni erba un fascio e di ogni dirigente di Fratelli d’Italia un potenziale killer o un maniaco delle armi, è d’obbligo. Ma un deputato che finisce in una situazione di questo tipo deve essere in qualche misura sanzionato, e in fretta, per non lasciare margini di dubbio sulla estraneità del partito a comportamenti di questa natura.
Lo stesso Pozzolo però ha evocato l’immunità parlamentare per non sottoporsi all’esame della polvere da sparo e l’opposizione ha richiamato a un uso “corretto” dell’istituto: premessa la legittimità, crede sia un comportamento opportuno?
Nell’epoca dei social media e della comunicazione immediata, è un comportamento inopportuno e da ogni punto di vista, autolesionistico, oltre che molto dannoso per l’immagine del partito di Giorgia Meloni. Al di là delle formalità giuridiche, evitando di sottoporsi al test e rifiutandosi di consegnare gli abiti indossati, agli occhi di gran parte della pubblica opinione Pozzolo si è già ritagliato una immagine di colpevolezza, e tutte le eventuali testimonianze volte a scagionarlo saranno ritenute fasulle. Se non c’è stata sua responsabilità nello sparo, questo modo di fare è stato insensato; se invece c’è stata, sarebbe stato molto meglio, per lui, ammetterlo e spiegare la dinamica dell’accaduto. Facendo così, ha solo peggiorato la situazione.