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Prima l’accusa, gravissima, di associazione mafiosa; poi l’indegno lasciapassare da parte della giunta per le immunità del Senato e infine venti mesi di galera preventiva, gran parte dei quali passati in isolamento e in preda a una disperazione buia e senza fine. Ma alla fine di questo calvario i giudici hanno stabilito che il senatore Antonio Caridi è innocente, non aveva nulla a che vedere con la mafia e che il teorema politico criminale della procura di Reggio Calabria era del tutto infondato. A un certo punto abbiamo sperato che il senatore Caridi fosse colpevole, che quelle accuse fossero vere perché era troppo grave la decisione di privare della libertà un parlamentare della Repubblica. E invece no, i nostri sospetti erano fondati: Caridi era innocente e quell’arresto, sparato dai giornali che lo dipingevano come il politico al servizio del clan della ‘ndrangheta, era del tutto ingiustificato.Ma a questo punto non possiamo liquidare questa storia come uno dei tanti e insignificanti errori giudiziari. Abbiamo il dovere di capire come si sia arrivati a questo arresto e come si stato possibile strappare un parlamentare eletto dai cittadini dal suo scranno e richiuderlo in galera. Dobbiamo seguire la catena delle responsabilità, a cominciare da quelle della politica. E allora dobbiamo partire dalla decisione dell’allora presidente Grasso, l’ex magistrato Piero Grasso, di forzare la decisione di anticipare l’esame della vicenda Caridi da parte del Senato. E dobbiamo ricordare che il Pd decise di schierarsi con i 5Stelle. E poi dobbiamo segnare sul “quaderno delle memorie” le parole dell’allora capogruppo dem Luigi Zanda che schierò il Partito democratico per la “linea della fermezza” spiegando: «Nulla, ma proprio nulla, è emerso nel dibattito e nelle carte di cui abbiamo avuto legittima conoscenza che faccia ritenere che nella vicenda che riguarda il senatore Antonio Stefano Caridi sia ravvisabile quel fumus persecutionis che, ove sussistesse, sarebbe l’unica ragione per la quale il Parlamento può negare l’autorizzazione all’esecuzione di una misura legittima dell’Autorità giudiziaria». «Chi ha sperato in imboscate, ora sarà deluso». E poi le lacrime di coccodrillo dell’allora renziano Andrea Marcucci: «Sono comunque decisioni difficili, che il gruppo dem affronta sempre a viso aperto, con rigorosità, senza pregiudizi e caso per caso». E infine dobbiamo ricordare le parole di Caridi, parole cadute nel vuoto di aula sorda e terrorizzata dalla campagna stampa che affiancò il lavoro della procura: «Mi si accusa di aver fatto parte di una sorta di componente apicale e segreta della ‘ndrangheta, pur senza indicare un fatto, uno, che dimostrerebbe questa infamante accusa». La sua ultima immagine da uomo libero è quella di uno sconfitto che si congeda dai colleghi parlamentari col volto solcato dalle lacrime. Poi la galera: venti mesi di buio sui quali oggi si fa finalmente luce. E qui abbiamo il dovere di ricordare l’altra catena delle responsabilità, quelle di una procura che, secondo i giudici, ha agito con avventatezza e confidato nel terrore compiacente della politica. E avanza il sospetto che con questa antimafia, la ‘ndrangheta vivrà ancora a lungo…