PHOTO
Il Sinodo per l’Amazzonia rischia di mettere in ombra un’altra iniziativa di grande significato sviluppata in questi giorni da papa Francesco. Mi riferisco alla lettera apostolica Aperuit illis, pubblicata il 30 settembre scorso, con la quale viene istituita la celebrazione della Domenica della Parola di Dio,
la III del Tempo Ordinario dell’anno liturgico. Nel 2020 il 26 gennaio, con l’eccezione di Milano, che la celebrerà la settimana precedente per la particolarità dell’anno ambrosiano.
Per comprendere l’importanza di questa decisione è necessario mettere in parallelo la nuova solennità con quella tradizionale del Corpus Domini. L’esistenza di questa seconda celebrazione, in mancanza della prima, costituiva infatti una dichiarazione di squilibrio teologico a favore del corpo di Cristo e del significato sacramentale dell’eucaristia nei confronti delle sacre scritture e della loro tradizione nella Chiesa.
La polemica tra cattolici e protestanti nacque e si sviluppò anche, se non soprattutto, attorno a queste problematiche, alla “sola scriptura” invocata da Lutero, senza considerate che la definizione stessa della scrittura, la sua individuazione e trasmissione costituisce uno dei compiti fondamentali della Chiesa stessa. Il contrasto provocò un arroccamento, un timore nei confronti della diffusione di una pratica di lettura e interpretazione individuale, autonoma, solipsistica, del testo sacro. In ambito cattolico se ne riservò la conoscenza e la frequentazione agli ecclesiastici, mentre si esigeva da loro una preparazione culturale solida per disporre degli strumenti per il suo studio. I sacerdoti divennero anche i mediatori della sacra scrittura nei confronti del popolo di Dio, e l’uso del latino, protratto nei secoli fino a divenire una lingua sconosciuta ai fedeli, rischiò di costituire un grave ostacolo alla fruizione diffusa della parola di Dio.
Tutto questo è terminato, almeno sul piano teorico, con il Concilio Vaticano II e con l’approvazione della Costituzione dogmatica Dei Verbum - in parallelo alla Sacrosantum Concilium,
che aprì la strada alla messa celebrata nelle lingue nazionali – che sanciva l’importanza della frequentazione delle sacre scritture da parte del popolo di Dio e la necessità per la Chiesa di favorire una loro conoscenza diffusa e approfondita. Nel 2008 Benedetto XVI pubblicò l’esortazione apostolica Verbum Domini per ridare vigore all’impulso ecclesiale in questa direzione, dopo un certo appannamento verificatosi con lo spegnersi dell’entusiasmo iniziale suscitato dal Vaticano II.
Papa Francesco ha manifestato fin dall’inizio del suo pontificato una grande attenzione per la diffusione delle scritture, lo ha dimostrato anche con una serie di distribuzioni fisiche di copie del vangelo, invitando i fedeli a una lettura frequente dei testi fondamentali del nostro credo.
Nella Aperuit illis papa Francesco non tralascia di occuparsi ancora delle omelie, i momenti principali della comunicazione tra clero e fedeli, per invitare a una considerazione alta di queste occasioni. L’invito è duplice innanzitutto “si dedichi il tempo opportuno per la preparazione dell’omelia”, a questo si deve accompagnare “l’impegno a non dilungarci oltre misura con omelie saccenti o argomenti estranei”. Un ammonimento teso a mantenere la Chiesa nella contemporaneità, anche e soprattutto nell’ambito della comunicazione, della quale vanno rispettati i tempi e i ritmi propri, evitando i protagonismi.
La nuova ricorrenza, già anticipata nella proclamazione del giubileo della Misericordia, non completa un percorso. Possiamo dire piuttosto che sollecita un più attento e coraggioso avanzare in un territorio ancora poco frequentato dalla cultura cattolica, come dimostrato dalla prassi editoriale che circonda la proposta dei testi sacri. La Bibbia viene tuttora edita nella sua voluminosa e respingente unicità, mentre si tratta di una biblioteca come il nome stesso indica, oppure nei singoli libri accompagnati però da commenti invasivi e ingombranti. Forse l’interessamento diretto di papa Francesco porterà a una proposta più agile e fruibile delle scritture alle quali la celebrazione della Domenica della Parola di Dio riconosce un valore sacramentale.