Carlo Cottarelli, economista e già commissario alla spending review, spiega che ai dazi americani l’Ue dovrebbe reagire con altri dazi, perché «quando ti tirano una sberla non puoi stare fermo ma reagire allo stesso modo». Per poi aggiungere che «Meloni sta facendo una cosa utile a porsi da ponte tra Usa e Ue ma a un certo punto se Trump non scende a più miti consigli la presidente del Consiglio dovrà scegliere e la scelta non può che essere a favore dell’Europa».

Professor Cottarelli, Trump ha annunciato dazi dal 2 aprile su diverse prodotti dall’Unione europea: che ne pensa?

Sono preoccupato perché questa strategia dei dazi è fatta di due componenti. C’è sicuramente un elemento di pura negoziazione, per cercare di ottenere vantaggi dai paesi europei su altre questioni. Ma c’è anche una componente più strutturale e ideologica volta da un lato a perpetuare l’idea che gli americani siano sfruttati dagli altri, anche se poi il “costo” dei dazi verrà pagato dagli stessi americani e non da noi. Dall’altro lato si cerca di dare vigore al settore manifatturiero americano che sta diventando sempre più piccolo rispetto al resto del mondo. Gli Usa rappresentano ormai soltanto il 16% della manifattura mondiale, con la Cina al 32%, il doppio.

Dunque il vero rivale degli Stati Uniti è la Cina?

Esattamente, e speriamo che la “guerra commerciale” rimanga appunto solo nel campo economico. Come ho detto altre volte se guardiamo all’acciaio il 54% della produzione mondiale è in mano alla Cina, contro il 4% degli Stati Uniti. Per non parlare dell’alluminio, del quale gli Usa producono percentuali ancora più basse.

Perché allora viene colpita anche l’Ue?

C’è una parte diffusa dell’opinione pubblica americana che si è messa in testa che gli europei stanno vivendo alle spalle degli Usa, ma è l’esatto contrario. Noi esportiamo più di quello che importiamo e questo vuol dire che stiamo cedendo beni agli Usa. Certo così facendo loro si indebitano ma quei soldi vengono reinvestiti in America. Noi produciamo auto che loro consumano, quindi siamo noi che ci dovremmo lamentare. Tra l’altro questa situazione è anche dovuta a un dollaro probabilmente sopravvalutato collegato al fatto che il deficit pubblico americano è molto più alto di quello europeo. Di conseguenza sta pompando potere d’acquisto nelle tasche degli americani e tutto questo si sfoga in importazioni a gogo. E siccome il deficit pubblico attrae capitale dall’estero, questo porta a una sopravvalutazione del dollaro. Trump dovrebbe guardare in casa sua prima di incolpare gli europei.

Alcuni commentatori ed economisti, tra cui Mario Draghi, pensano che forse non è il caso di reagire ai dazi con altri dazi, per non irritare ancor di più Trump: è d’accordo?

Capisco l’argomentazione che viene fatta di non reagire. Tra l’altro la banca centrale europea ha calcolato che i dazi di Trump causerebbero una riduzione del Pil europeo dello 0,3 per cento senza reazione e dello 0,5 per cento con la reazione. Ma dobbiamo reagire perché è vero che forse per noi la situazione peggiorerebbe nell’immediato ma di certo peggiorerebbe anche per loro. Quando ti tirano una sberla non puoi stare fermo ma reagire allo stesso modo. È la stessa cosa di quanto sta accadendo dell’Ucraina. C’è chi dice che il modo migliore di difendersi sarebbe non reagire ma se non ci fosse stata risposta Putin sarebbe spinto a invadere altre regioni e altri Stati. Una delle argomentazioni che normalmente vengono fatte contro i dazi è dire che portano a un’azione di risposta. Ma se togliamo anche la risposta allora si invita tutto il mondo a mettere dazi. E così non andremmo lontano.

Ma se imponiamo altri dazi non diamo vita a una guerra commerciale tra Ue e Usa?

No perché noi reagiamo in questo modo ma facendo sapere che siamo ben disposti a negoziare, compresa la rimozione dei dazi introdotti, e a trovare accordi più vantaggiosi per tutti. Faccio un esempio: se un commerciante aumenta il prezzo di un bene non ha senso che tu voglia discutere del prezzo dopo averlo comprato. Se aumenta il prezzo è giusto dire “allora non lo compro” e poi discutere.

Quali saranno le conseguenze dei dazi americani per le nostre industrie?

A livello settoriale ci saranno conseguenze ma teniamo conto che per fortuna gli Usa non sono più l’unico mercato di sbocco, si tratta di trovare nuovi mercati. Ma io penso che per alcune cose si troverà un accordo. Ad esempio sul dazio del 200% sui vini europei. Ma mi preoccupano in particolare quelli sull’acciaio e sull’alluminio. È possibile che vengano mantenuti. E siccome le relazioni geopolitiche con l’Europa non stanno andando bene è possibile che sull’aspetto “strategico” non ci sia nulla da fare in termini di trattative.

In Europa si discute molto anche del piano di riarmo: come si collegano i due aspetti?

Beh, anche a livello militare l’intenzione è non comprare dalle imprese americane per rafforzare sia l’economia che la difesa europea, che è largamente sottodimensionata rispetto a quella americana. Abbiamo un fatturato che è la metà di quello delle imprese americane. Nelle prime dieci imprese mondiali della difesa non ce n’è una italiana. E un’industria americana ha il fatturato pari a quello di otto industrie europee.

Come vede il tentativo di Giorgia Meloni di porsi da “ponte” tra Usa e Ue?

Non c’è niente di sbagliato nel tentativo di fare da ponte visto il suo buon rapporto con Trump. Meloni sta facendo una cosa utile ma a un certo punto se Trump non scende a più miti consigli la presidente del Consiglio dovrà scegliere e la scelta non può che essere a favore dell’Europa.