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“Il Dubbio” si conferma un luogo di confronto dialettico nell’attuale situazione politica. Ho particolarmente apprezzato gli interventi di Pino Pisicchio e l’intervista a Biagio de Giovanni. Entrambi analizzano in modo chiaro il punto nodale della legittimazione del Parlamento a variare la maggioranza, evidenziando l’assenza di partiti politici strutturati secondo il modello costituzionale previsto dall’art. 49 e la connessa crisi delle culture politiche. Oggi il Parlamento è il luogo dove tutto è possibile e dove l’unico limite è dato dall’aritmetica dei “numeri magici” che garantiscono la maggioranza giorno per giorno.
È evidente che questo tipo di logica trova una sua giustificazione autonoma nel sistema istituzionale, secondo cui il Parlamento è espressione della volontà popolare manifestata al momento delle elezioni, ma confligge in modo clamoroso con il sentimento popolare e con le regole della democrazia parlamentare moderna, che prevede che vi sia un filo diretto tra Popolo, Parlamento e Governo. Questa linea di connessione sono stati, per la Prima Repubblica, i partiti, che vedevano milioni di persone tra i loro iscritti, partecipare con “metodo democratico” alla determinazione della politica nazionale. Certo, c’erano le patologie del “centralismo democratico” del Pci e i tesseramenti anomali dei partiti di governo, legati spesso al voto di scambio. Eppure i grandi cambiamenti della politica italiana non furono mai decisi con manovre di palazzo o con frettolosi voti di direzioni agostane, ma partoriti con accessi dibattiti e congressi che coinvolsero nelle loro varie fasi, l’intera base dei militanti, allora amplissima.
Basti pensare ai congressi della Dc del 1963, che aprì al centrosinistra grazie a Moro e a quello del 1979 che chiuse l’esperienza della Solidarietà Nazionale con il “Preambolo” a firma di Donat Cattin oppure al congresso all’albergo Midas di Roma che portò Craxi alla guida del Psi.
Le svolte politiche e i mutamenti di alleanze sono naturali in un sistema a base proporzionale quale è quello tuttora in vigore, che rende inevitabili le coalizioni.
È però del tutto innaturale che le inversioni a U della politica nazionale siano decise in fretta e furia con il Paese in vacanza da pochissime persone, senza alcuna preventiva delega o consenso delle loro stesse basi elettorali.
Il voto degli iscritti a un partito non può essere una ratifica formale, a cose fatte, di decisioni palatine, ma deve essere preventivo e vincolante.
Non si tratta di consultazioni interne, perché l’art. 49 della Costituzione individua nei partiti politici e non nei loro leader nominati lo strumento di partecipazione dei cittadini per “determinare la politica nazionale”.
Ciò detto mi chiedo quanto sia “democratico” nel metodo uno statuto che affidi a una società commerciale la gestione di una piattaforma informatica di decisioni politiche; ma mi chiedo anche perché gli iscritti al Pd, chiamati spesso a votare sulle persone con l’americanata delle primarie, non siano stati consultati sulla scelta di andare al Governo con un avversario politico.
Si può presumere che gli iscritti a un partito abbiano tutto da guadagnare dalla partecipazione del loro partito alla maggioranza; ma non è scontato.
Infatti la Spd tedesca prima di confermare la Grande Coalizione con la Merkel è passata attraverso una votazione interna il cui esito è stato a lungo incerto e risicato nei numeri.
Nessuno si è sognato di ridurre la votazione interna alla Spd ad una questione interna o a una semplice formalità. Anche perché in Germania, come in quasi tutti i Paesi europei, i congressi di partito si fanno con Statuti seri e alla presenza di notai, con chiarezza e trasparenza sulla partecipazione degli iscritti.
Certo ogni sistema ha qualche inconveniente; infatti qualche centinaia di migliaia di iscritti al Partito Conservatore ha consentito a Boris Johnson di diventare Premier e chiudere il Parlamento per un mese.
Ma meglio questo, che la riapertura agostana del Senato in base a decisioni prese sulla battigia e a Governi decisi nelle segrete istanze, con il popolo contumace per ferie.
* avvocato