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A70 anni compiuti in aprile D'Alema è diventato come il buon vino che produce: invecchiando migliora. In una lunga intervista a Vittorio Zincone, per il supplemento 7 del Corriere della Sera, egli ha riconosciuto almeno alcuni dei suoi errori, chiamandoli proprio così, pur rivendicando le attenuanti della ' generosità', addirittura con la decisione di lasciare il Pd due anni fa per tuffarsi in qualche centimetro d'acqua elettorale, come si è rivelato il bacino dei fuorusciti dal partito allora guidato da Matteo Renzi, e persino della ' professionalità'.
Che è stata simpaticamente assegnata d'ufficio dal cantautore Paolo Conte, ammirato da D’Alema, a chi sbaglia nel ' mondo adulto'.
L'ex presidente del Consiglio si è persino dato dello ' sciocco' per ' l'abitudine' avuta negli anni del maggiore potere, all'opposizione prima e al governo poi, di ' punzecchiare i giornalisti', peraltro suoi colleghi, non rendendosi conto che ciò ' non aiutava l'immagine' che pure voleva dare di leader arguto e tagliente.
A dire il vero, arrivando nell'autunno del 1998 a Palazzo Chigi per sostituire Romano Prodi con un'operazione, obiettivamente, più da palazzo che elettorale, come invece avrebbe dovuto consigliare lo spirito sia pure parzialmente maggioritario voluto dagli italiani col referendum di cinque anni prima, D'Alema concesse la grazia, diciamo così, a tutti i colleghi giornalisti con la rinuncia alle que- rele pendenti. Ma, diavolo di un uomo, ci ricascò alla prima occasione denunciando Giorgio Forattini per una vignetta che gli attribuiva la censura di una lista di spie vere o presunte, in Italia, degli scomparsi servizi segreti sovietici. E furono soldi che il vignettista avrebbe dovuto sborsare vendendosi qualche casa se a pagare non fosse intervenuto l'editore con generosità spontanea come i contributi di solidarietà imposti per legge.
Fra le cose rimastegli pesantemente sulle spalle ma di cui D'Alema ha voluto liberarsi c’è quella specie di certificazione di sinistra accordata alla Lega definendola una sua ' costola'.
Ma, anziché cavarsela rivalutando Umberto Bossi, che allora la guidava, rispetto all'odierno Matteo Salvini, affetto da “populismo più intossicante di quello delle cinque stelle' perché misto a ' razzismo', D'Alema ha voluto precisare, anche a costo di darsi la zappa sui piedi, di avere parlato della Lega solo come ' costola del movimento operaio', riuscendo già allora il Carroccio a raccoglierne i voti. L'odiato Renzi, l'altro Matteo, non si era ancora neppure affacciato sulla scena della sinistra per ' rottamare' chi l'aveva guidata o rappresentata sino ad allora.
Da rottamato, D'Alema è stato in fondo clemente nel suo restauro di politico aduso ormai a ' viaggiare molto' anche per tenersi a distanza dalle ' bassezze' attuali di casa nostra. E mi sento di condividere il torto che il mio amico Pasquale Laurito, il decano ormai dell’associazione della stampa parlamentare, orgoglioso di avere lui “cresciuto” D’Alema, ha appena rimproverato al “taverniere toscano”- in una intervista al Corriere della Sera- di avergli preferito Federica Mogherini cinque anni fa per l’incarico di alto commissario europea per la politica estera e di sicurezza. Beh, se c'era un abito adatto a D'Alema, e utile anche a Renzi a Palazzo Chigi, era proprio quello. E non certo per fargli vendere meglio all'estero il vino che produce al termine di una carriera politica cominciata ai tempi di Palmiro Togliatti parlando ad un congresso come “pioniere”. A sentire ragionare quel ragazzo il segretario del Pci lo scambiò per “un nano”. E poi, più seriamente, gli predisse un bel futuro.