PHOTO
Nel mondo è in corso una guerra globale. E’ un conflitto di nuovo tipo, senza eserciti combattenti e senza battaglie campali, ma è comunque una guerra, una guerra economica e tecnologica. E’ il conflitto per il dominio del 5G, la prossima rivoluzionaria generazione delle reti di telefonia mobile, quella “dell’Internet delle Cose”.
Al centro di questa guerra globale c’è Huawei, il colosso cinese. Ma che cosa è, chi è Huawei?
E’ un gigante, e questo è sicuro. Produce e vende su scala mondiale, equipaggiamenti per telecomunicazioni e prodotto elettronici ad iniziare dagli smartphone. Ma questo è solo l’antipasto del colosso Huawei. Produce e fornisce servizi in circa 170 paesi e serve ( o serviva fino a pochi mesi or sono) 45 dei 50 maggiori operatori di telecomunicazioni nel mondo.
Le sue reti raggiungono già in un modo o nell’altro un terzo della popolazione mondiale. Secondo le notizie di stampa, nel 2012 Huawei ha superato la multinazionale svedese Ericsson come maggiore produttore globale di equipaggiamenti per telecomunicazioni. Nel 2018 invece ha superato la multinazionale americana Apple come secondo produttore al mondo di smartphone. Ed ora Huawei si colloca immediatamente dopo un’altro gigante asiatico, la sudcoreana Samsung Electronics. Nel 2018 ha totalizzato qualcosa come oltre 108 miliardi di dollari di reddito. E’ un vero colosso globale tutto made in China.
Negli anni Ottanta, il governo cinese, impegnatissimo nel programma riformatore denghista delle ‘ Porte Aperte’, ha deciso di investire sulla modernizzazione delle infrastrutture di telecomunicazioni della Repubblica Popolare. Era un settore che era stato abbondantemente dimenticato nell’era maoista, ma ora, nell’epoca delle quattro modernizzazioni denghiste, era giunta l’ora di fare anche qui una rivoluzione ‘ socialista secondo caratteristiche cinesi’. Ovvero mercato, imprese con caratteri privati ma anche con un forte sostegno dello Stato: un pò capitalismo di mercato, un pò capitalismo dirigista di stile est- asiatico, un pò socialismo di marca post- maoista.
In questo clima un ex alto funzionario del corpo ingegneri dell’Esercito di liberazione del popolo, le forze armate cinesi, Ren Zhengfei fonda Huawei, con un capitale iniziale indicato in 21mila yuan. Proprio la figura di Ren Zhengfei porrà successivamente molte domande circa il reale ruolo delle forze armate cinesi o almeno di alcuni dipartimenti del PLA nella nascita di Huawei.
Le durissime contestazioni, i tentativi dell’amministrazione americana contro il gigante cinese avranno al centro le ‘ preoccupazioni’ per la cybersicurezza, un ambito ormai vitale della sicurezza nazionale, e l’origine del fondatore di Huawei, come alto dirigenti di un importante organismo dell’Esercito di liberazione popolare, ovviamente darà argomenti alla campagna americana.
Nata originariamente come produttrice di materiale telefonico, solo successivamente Huawei si è allargata alle infrastrutture e alle reti telefoniche e di telecomunicazione, ai servizi, agli equipaggiamenti per le imprese in Cina e nel mondo, ai dispositivi elettronici per i consumatori. Solo successivamente quindi Huawei è diventata una impresa globale ma con caratteristiche molto particolari.
In primissimo luogo, Huawei è un colosso decisamente orientato verso l’innovazione e il cambiamento. Ha più o meno 188mila addetti in tutto il mondo: di questi, ben76mila sono in un modo o nell’altro coinvolti nel settore R& D, ricerca e sviluppo. Huawei ha aperto 21 istituti aziendali di ricerca e sviluppo.
C’è poi una seconda caratteristica speciale, l’assetto di proprietà. Ren Zhengfai possiede circa l’uno per cento della società di controllo del gruppo, la Huawei Investment & Holding, il restante è controllato dai lavoratori o meglio è detenuto da un Comitato sindacale che afferma di rappresentare i lavoratori dell’azienda. Il Comitato sindacale di Huawei è considerato vicino alla Shenzhen Federation of the All- China Federation of Trade Unions, i sindacati ufficiali cinesi.
Alcune fonti occidentali accusano l’azienda di un forte deficit di trasparenza in tutto questo assetto di controllo: di fatto non si saprebbe chi e come vengono nominati i componenti della Commissione dei Rappresentati, un organismo di 115 persone, e quelli del Board of Directors dell’holding. La particolarità sarebbe che le quote di azionariato non sono diritti perfettamente trasferibili, quindi non sarebbero veri e propri diritti di proprietà. Siamo insomma in presenza di quel ‘ socialismo con caratteristiche cinesi’ sul piano della struttura economica nazionale di cui la leadership denghista ha sempre amato parlare. Un ‘ ircocervo’ tutto cinese, un po’ mercato capitalistico, un po’ impresa privata, un po’ azienda vicina allo Stato anzi al Partito- stato.
Questo particolarissimo assetto capitalistico è stato spesso mutato, ad esempio nel campo bancario, ma i suoi principi o caratteri cinesi sono rimasti sostanzialmente immutati: sono precisamente quelle caratteristiche che, ora, fanno paura agli Stati Uniti poichè riescono a mettere assieme le virtù del mercato con le risorse di uno stato potente.
Questo assetto, almeno per ora, ha però un prezzo: la lentezza nell’implementazione di istituzioni moderne di mercato e di pubblica amministrazione nel sistema economico e politico cinese. Per esempio mancano tuttora istituzioni moderne nel campo, vitale, dell’ordinamento giuridico, ma chissà forse nel prossimo futuro anche qui potremo assistere a rivoluzioni importanti, se il regime del Partito stato sarà capace di assorbire niente di meno che lo ‘ stato di diritto’ o ‘ rule of law’. In attesa di questa ‘ rivoluzione delle istituzioni’ moderne necessarie, la Repubblica Popolare, per ora, sembra essere stata capace di inventarsi una forma di capitalismo capace di lanciarla nell’Olimpo dell’innovazione. Sembra aver vinto, per ora, una sfida che sembrava impossibile a molti osservatori.
Huawei è precisamente un simbolo, forse il simbolo per eccellenza ( assieme ad AliBaba ad esempio) di questo guanto di sfida cinese al capitalismo occidentale di matrice americana che voleva essere un esempio imbattibile e un modello insuperabile.
La guerra di 5G a questo punto assume la sua vera natura: quella della sfida fra due modelli parzialmente diversi di capitalismo, un capitalismo altamente finanziarizzato e molto speculativo, quello americano dei giorni nostri, dell’era reaganian- clintoniana e un capitalismo neo- sviluppista con forte intervento politico, quello ‘ con caratteristiche cinesi’.
Ma chi è Ren Zhengfei?
Come abbiamo visto, ha una storia di alto funzionario del corpo ingegneri delle forze armate rivoluzionarie. Ma in realtà Ren Zhengfei ha una infanzia abbastanza povera. Nasce in un piccolo villaggio della contea di Pujiang. Siamo nella provincia dello Zhejiang. La matrice geografica è interessante: il fondatore di Huawei ha avuto una giovinezza difficile. la provincia da cui proviene, lo Zhejinag, ha caratteri molto speciali per gli standard cinesi. E’ una regione costiera, molto prossima a Formosa, e per questa ragione, ‘ guardata a vista’ dagli apparati della difesa della Repubblica Popolare. Ma essa è anche la provincia ‘ mercantile’ per eccellenza della Cina storica: Wenzhou ad esempio è una città importante assieme alla sua regione dello Zhejiang. I suoi abitanti hanno da sempre l’immagine e la fama di mercati aperti al mondo.
Nel 1963 il giovane Ren Zhengfei va a studiare esaudendo le speranze di mamma e papà che come tutti i genitori cinesi hanno una volontà di ferro nel far studiare i loro figli: il ragazzo va a Chongqing, una città, una metropoli immensa che tuttoggi costituisce uno dei pilastri della crescita futura del gigante Cina. Un anno prima della laurea però inizia la ‘ rivoluzione culturale’ che fu tanto ammirata da molti giovani occidentali ma che rappresentò da diversi punti di vista una immane catastrofe per la società cinese.
Nel 1978, il Partito comunista cinese decide di lanciare la Cina nelle telecomunicazioni. Nel 1987 Ren Zhangfei fonda Huawei lavorando sui commutatori telefonici. Inizia così l’avventura tutta cinese di Huawei che ora arriva al 5G.
Per capire sommariamente come stanno le cose basta mettere assieme un paio di numeri: negli Stati Uniti ci sarebbero 4,7 siti per ogni 10mila abitanti. In Cina ce ne sarebbero 14,1. Negli Stati Uniti ci sarebbero 0,4 siti ogni 10 mq, in Cina 5,3. Il vantaggio cinesi in termini ‘ densità di infrastrutture per telecomunicazioni mobili’ appare quindi piuttosto consistente.
Il 5G costituirà il volano chiave per questo vantaggio competitivo: 5G significherà intelligenza artificiale e ‘ Internet delle cose’. «Per integrare l’intelligenza artificiale con l’’ Internet of things’ e affidarle il controllo di una fabbrica robotizzata o di una rete energetica o di un veicolo senza guidatore - scrivono Francesca e Luca Balestrieri in Guerra Digitale - occorre una rete di telecomunicazioni ultra- veloce, in grado di offrire tempi di connessione e di reazione pressochè istantanei.
Qui entra in gioco il 5G, ossia la tecnologia delle reti di quinta generazione» . I cambiamenti che saranno a quel punto possibili sono di una portata quasi sconosciuta, saranno comunque importantissimi. A quel punto l’economia e la società cambieranno sostanzialmente, e potrebbero, forse, diventare una manifattura globale integrata. Chi ha in mano la tecnologia 5G migliore e a prezzi migliori, ha potenzialmente in mano il pianeta. La Cina, con le tecnologie Huawei, sembra avere le innovazioni giuste ai prezzi giusti: è una combinazione potenzialmente fortissima.
Ciò mette la Repubblica Popolare già in vantaggio e il resto del mondo, potenzialmente, in difficoltà. Due sono le opzioni apparentemente plausibili: la prima è ovviamente inaccettabile per paesi come le democrazie europee o occidentali. Adottare il 5G cinese senza misure di sicurezza, infatti, significherebbe accettare che i sistemi Huawei diano al gigante cinese e al suo paese un dominio tecnologico, e quindi politico ed economico rilevantissimo.
La seconda opzione però è ugualmente di pessima qualità. Non adottare le tecnologie migliori ai prezzi migliori, infatti, respingendo dunque Huawei come chiedono da mesi gli americani ad europei ed asiatici, significherebbe accettare che le nostre economie si ritrovino sul groppone uno svantaggio economico e tecnologico rilevantissimo che potrebbe diventare mortale in breve tempo. La Cina ne uscirebbe comunque, anche se diversamente, avvantaggiata.
L’Occidente o quel che ne resta si trova oggi di fronte a questo bivio: la Germania e la Cancelliera tedesca hanno forse individuato una via possibile. Ovvero accettare le tecnologia cinese del 5G ma chiedendo con determinazione l’adozione controllata di misure di cybersicurezza, cercando comunque di non rimanere appesi ad un fornitore unico. E’ una via difficile a questo punto, anche per la mancanza di cooperazione fra Europa e Stati Uniti, ma alla fine è la via migliore per le democrazie dell’Unione europea.
Intanto la guerra globale del 5G continua: forse ci sarà un ( limitatissimo) accordo commerciale fra Stati Uniti e Repubblica Popolare, ma ormai nessuno si illude più, a meno di un radicale ripensamento strategico da parte americana in particolare, che il confronto sino- americano, iniziato come guerra dei dazi, diventato guerra delle valute ed ormai chiaramente disvelato per quello che era, conflitto per l’egemonia globale, e quindi guerra del 5G, possa chiudersi in breve tempo. L’Europa che è stata bravissima nel definire una sua ‘ Grande strategia’ commerciale ora deve essere rapidamente in grado di trovare una sua ‘ Grande strategia’ tecnologica.