Gli attacchi israeliani contro le basi del contingente Unifil sulla Blu line, in Libano, hanno alzato il livello della tensione in un contesto già molto delicato e fatto sorgere alcuni interrogativi sul futuro della missione delle Nazioni Unite nel Paese dei cedri. Il ministro della Difesa, Guido Crosetto, ha detto ieri che occorre rivedere le regole di ingaggio dei caschi blu. Di questo e di altro abbiamo parlato con Claudio Bertolotti, direttore di Start In- Sight, ricercatore Ispi e autore del libro Gaza underground: la guerra sotterranea e urbana tra Israele e Hamas. «Il mandato delle truppe Unifil – dice al Dubbio Bertolotti – è di coordinamento tra le autorità israeliane e quelle libanesi. Non viene detto nulla in merito a Hezbollah, che costituisce a tutti gli effetti in Libano una sorta di governo nel governo».

Dottor Bertolotti, la missione Unifil rischia di essere smantellata?

Prima di tutto rischia di essere superata in quelli che sono i suoi scopi e obiettivi. Occorre ricordare che il mandato della missione è quello di rappresentare una forza di interposizione fra Hezbollah e Israele, in modo tale che non ci sia uno scontro tra le parti. Tale mandato, come abbiamo avuto modo di appurare, è già stato superato. La Blu line, in base all’accordo tra Libano e Israele, deve essere smilitarizzata e non può essere usata dalle due parti per colpirsi a vicenda. Anche questo è un elemento superato sempre in riferimento ai fatti degli ultimi giorni. Unifil osserva e riporta alle Nazioni Unite una serie di informazioni, ma la smilitarizzazione dell’area purtroppo è una chimera perché è diventata di fatto un campo di battaglia. Il rischio è che Unifil non possa più ottemperare al mandato e che si trovi bloccata nello scontro tra i due contendenti. Se Hezbollah in questo momento ha l’interesse a vedere la presenza di Unifil nell’area, la stessa cosa non vale per Israele, che, invece, mira ad un disimpegno della missione.

I soldati israeliani sono entrati sulla della Blue Line. Le azioni di due giorni fa dimostrano che la presenza della Nazioni Unite non è gradita da Israele?

Mi soffermerei su due aspetti. Il primo: Israele si muove all'interno di un quadro di legittimità giuridica, nel senso che risponde a una minaccia concreta proveniente da un piccolo esercito, Hezbollah, finanziato dall’Iran e utilizzato come strumento armato a danno di Israele. Il secondo aspetto: Israele sembra voler spingere Unifil a disimpegnarsi e quindi a ritirare il proprio contingente e lo fa non con azioni particolarmente violente e rischiose per il contingente dei caschi blu. Credo quindi che ci sia una sorta di disegno da parte di Israele nella condotta di queste attività.

Il ministro della Difesa, Guido Crosetto, ha chiesto una modifica delle regole di ingaggio dei caschi blu presente sul confine israelo- libanese. Si tratta di una richiesta fondata da parte dell’Italia?

La richiesta è certamente legittima. Bisogna vedere se le Nazioni Unite avranno la volontà di cambiare le regole d’ingaggio. Non dobbiamo dimenticare che in questo caso non è l’Assemblea a decidere, ma il Consiglio di Sicurezza. Già con la risoluzione 1701 sono state indicate precise regole d’ingaggio che non prevedono azioni offensive, ma azioni difensive e l’utilizzo della forza minima per salvaguardare l'incolumità del personale e la capacità della missione di poter ottemperare ai suoi scopi.

Il Libano verrà invaso dall’esercito israeliano?

L’invasione del Libano non è contemplata da parte di Israele. Al tempo stesso va precisato che Israele sta conducendo un’operazione militare terrestre volta a contrastare e a eliminare la minaccia di Hezbollah, presente nel Paese dei cedri. Il problema, quindi, non è il Libano, ma il “Partito di Dio”. Israele ha tutto interesse ad avere un Libano stabile con Hezbollah una volta per tutte fuori dalla scena politica e militare.

Israele ha promesso di agire nei confronti dell’Iran, dopo gli attacchi missilistici dei giorni scorsi. Tel Aviv riuscirà a tenere aperti contemporaneamente tre fronti in Iran, a Gaza e in Libano?

Rispondo prima partendo dall’aspetto teorico. Israele ha una strategia militare, da cui discende la sua dottrina, che prevede l’impegno su tutti i fronti in caso di escalation orizzontale contro l’Iran e contro tutti i suoi alleati di prossimità, i cosiddetti proxy. Dal punto di vista pratico, Israele può agire sui tre fronti soltanto se c’è il pieno sostegno da parte degli Stati Uniti. Ora, se Israele dovesse colpire l'Iran, non è detto che quest’ultimo Stato sarebbe in grado di rispondere in maniera efficace e davvero minacciosa, tenuto conto del fatto che i suoi alleati di prossimità sono significativamente indeboliti. Non essendo contemplato l’impiego dello strumento terrestre, perché Israele e Iran non confinano, tutto è concentrato alla dimensione aerea e Israele ha la certezza di poter prevalere. Nel caso in cui si arrivasse all’escalation orizzontale con la risposta dell’Iran a quel punto gli Stati Uniti interverrebbero, senza esitazione, a tutela di Israele.

A proposito degli Stati Uniti, per il momento sono usciti di scena volutamente in attesa dell’esito delle elezioni presidenziali di novembre?

Sì, perché la guerra è un tema estremamente pericoloso in campagna elettorale. Non va neppure tralasciato che l’amministrazione democratica punta molto su un elettorato arabo che non coincide con una politica filo- israeliana. Per questo motivo si è cercato di contenere l’intensità del conflitto, di contenere la volontà israeliana del governo Netanyahu, proprio in funzione delle dinamiche di politica interna. Siamo di fronte a un mero calcolo politico e non di opportunità strategica. Questo è un vero peccato, perché dimostra i limiti della democrazia americana che di fatto piega quelli che sono i suoi interessi strategici, in questo caso nell’area mediorientale, badando solo all’opportunitàelettorale.