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Ci mancavano solo le accuse di Joe Biden per alzare il livello di attenzione verso i Cinquestelle. Ma che ci sia grande fermento dentro e attorno all’M5S è evidente da tempo. Le indiscrezioni smentite ma che lasciano traccia: anche verso il Colle su un possibile appoggio grillino ad un governo del presidente; le aperture di Luigi Di Maio sull’Europa repentinamente passata da matrigna a interlocutrice; le avances insistite di Liberi e Uguali. Fiammelle accese su un sentiero ancora allo stato fangoso. M5S in freezer con il Fattore K Così fino al 2013 a chi giova?
Perfino il moto di simpatia per la decisione di Alessandro Di Battista di non ricandidarsi. Sono fiammelle accese su un sentiero che è ancora allo stato fangoso. Ma che comunque comincia ad accennarsi e che riguarda un dato politico decisivo: il ruolo che dovrà svolgere nella prossima legislatura quella che potrebbe confermarsi la maggiore forza politica italiana.
Perché, propaganda e fake news a parte, la verità è che finora i Cinquestelle hanno riproposto, ma a rovescio, l’anatema che Alberto Ronchey lanciò sul Pci degli anni ‘ 70: l’esistenza di un Fattore K che non solo impediva al più grande Partito comunista d’Occidente di ambire a conquistare il governo ma che soprattutto tagliava fuori dal circuito della fisiologica alternanza al potere più di un terzo di italiani. Con conseguente alterazione del gioco democratico e nucumento non solo per Botteghe Oscure ma per tutto il sistema politico italiano: patologicamente sbilanciato e condannato a essere strutturalmente incapace di funzionare.
A rovescio, visto che erano gli equilibri sanciti con la fine della Seconda guerra mondiale e la spartizione tra Usa e Urss delle rispettive zone d’influenza ad alzare il ponte levatoio di palazzo Chigi nei riguardi del partito di Gramsci- Togliatti- Longo- Berlinguer.
Ora invece - nonostante le accuse dell’ex braccio destro di Obama sull’appoggio di Putin a Grillo ripropongano una patinatura vintage da Guerra Fredda - il Fattore K ha significato che sono stati i Cinquestelle ad essersi voluti cocciutamente autoisolare. Anche in questo caso privando i milioni di italiani che li hanno votati della possibilità di rendere operativo nel circuito del governo il consenso dato, avendolo visto rinchiuso nel freezer dei sogni da scongelare forse un dì.
Già. Ma adesso? Adesso molte cose sono cambiate. Dalla travolgente avanzata del 2013 Gianroberto Casaleggio non c’è più; Beppe Grillo si è ritirato dietro le quinte nel ruolo che più gli si confà; è presente sulla scena politica un candidato premier secondo schemi collaudati; è stata varata una nuova legge elettorale che ha riempito un vuoto istituzionale non più sostenibile e obbliga a coalizioni per agguantare la vittoria. Insomma è cambiato il mondo, e i grillini sembrano essersene accorti, risvegliati dall’incantesimo come una Bella Addormentata 2.0.
Bene. Ora che gli occhi si sono aperti, che si fa? Ottima domanda: purtroppo finora senza risposta. Però con indizi. Quando si dice che qualcosa sta succedendo anche “dentro” ai Cinquestelle, il pensiero vola ad un fatto incontrovertibile. Ossia che cinque anni sono passati cercando l’apriscatole per il tonno- Parlamento, senza trovarlo. Possono passarne altri cinque nella stessa condizione? Tradotto: cosa resterà dei Pentastellati nel 2023, godranno ancora della la spinta dei Vaffa oppure il popolo del “non ne possiamo più” si sarà indirizzato verso altri lidi? Di conseguenza: quel popolo, per trattenerlo, è necessario cavalcare la tigre accostandosi ai vituperati partiti del Palazzo oppure meglio tenersi alla larga e continuare nel balletto dei duri e puri, fino all’estinzione? Al dunque: se non ora ( al governo), quando?
Domande, solo domande. Però l’attivismo di Di Maio, evidentemente non frutto di decisioni personali, suggerisce che certi “non possumus” ( c’entra anche il Vaticano...) non risultano più così netti. Per capirci meglio. La linea ufficiale per il dopo urne del M5S se dovesse risultare primo partito è: andiamo al Quirinale per chiedere l’incarico di fare il governo. Poi si va alle Camere e si cercano appoggi per governare. Bene: non funziona in questo modo. L’incarico, anche di tipo esplorativo, Mattarella lo darà se esisteranno condizioni seppur minime che il Designato possa svolgere un ruolo propositivo. Il che significa che Di Maio o chi per lui dovrà fornire precise garanzie di volersi imbarcare in una trattativa con tutti i crismi con altre forze politiche. L’idea che Di Maio vada alla Camere a cercare la fiducia presuppone che il governo sia già stato fatto, con tanto di ministri in carica dopo solenne giuramento. Se non viene accettato e reso praticabile il passaggio preliminare, cioè appunto le trattative per capire se e quali margini di manovra esistano per un esecutivo a Cinque Stelle, siamo e rimaniamo nel campo della purissima fantapolitica. E dell’apriscatole che, visto che non si trova, melanconicamente si arrugginisce.