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«Mai chiesto, né mai chiederemo rimpasti o poltrone di governo» dice Salvini nel “comizio di Sabaudia” subito dopo la polverizzazione a scena aperta in Senato della maggioranza di governo sul voto per la Tav, e nonostante gli appartcick della Lega avessero fatto circolare il messaggio “stasera Salvini a Sabaudia aprirà la crisi di governo”.
“Mai chiesto né mai chiederemo rimpasti o poltrone di governo” ripete per iscritto Salvini - via Facebook stavolta- il giorno dopo, e nei minuti in cui il premier Conte sale al Colle per riferire e non certo per dimettersi poiché quello che è accaduto non è la sfiducia del governo da parte del Parlamento ma “solo” la tecnica rappresentazione parlamentare di una coalizione in stato di belligeranza permanente ed effettiva. Di Maio, intanto, fa e disfa agende e vertici in cui entrerebbe da imputato, scuote la testa, comunica al mondo che “se cade il governo arrivano i tecnici, è questo che volete?”. Una falena impazzita attorno a una lampadina, impegnata a sbatter le ali contro una campana di vetro.
Ma esattamente cosa stanno facendo? Ha ragione Rino Formica ad allarmarsi, a vedere i segni perfettamente intellegibili dello schema di costruzione del consenso che si creò negli anni Trenta attorno a Mussolini. Nel vuoto politico, nella mancanza di una alternativa concreta e percorribile, con il Parlamento ridotto a sede periferica del governo ( il voto sulla Tav, appunto), con le opposizioni sfibrate e ondivaghe ( il voto sulla Tav, appunto, con il Pd che emenda la propria mozione pur di vederla votare anche dalla Lega), e l’opinione pubblica ridotta a manipolo di tifosi o detrattori da scatenate via social ( e dunque di fatto assente), qualcuno può proporsi come forte, come unico appiglio risolutore. E quell’“uomo forte” sulla scena oggi c’è già, incoronato da condiscendenti sondaggi che invece di indagare il sentimento della pubblica opinione si limitano a rilevarne gradimenti e umori.
Esattamente, che cosa stiamo facendo, occorrerebbe chiedersi. Perché squadernato sotto gli occhi di tutti c’è non un teatrino della politica, ma un gioco politico preciso.
C’è da scommettere che la drammatizzazione attraverso reiterate minaccie di crisi di governo da parte di Salvini non sfocerà in una vera crisi di governo, poiché il vicepremier leghista ( nonostante le richieste in tal senso dei suoi, e nonostante quelle assai interessate di Forza Italia) non ha alcuna convenienza a fare: detta già l’agenda al governo, assume su di sé già l’iniziativa dei ministri della Difesa, degli Esteri, della Giustizia, degli Affari Europei, dei Lavori Pubblici oltre quella dell’Interno: che convenienza avrebbe ad andare al voto dovendo poi assumersi la responsabilità e addirittura intestarsi la prossima Legge di Bilancio? Molto meglio avere lí a disposizione un Di Maio, la falena che sbatte le ali, al quale poter addossare quella pesante responsabilità.
Ma le continue reiterate minacce, profferite in infradito, in un beach tour che coprirà tutto il periodo di vacanza delle istituzioni, serve a tener calde platea e loggione, accese le telecamere sul Capo, concentrata l’attenzione sul prossimo ( e attuale) “Padrone del Paese”. Istillare la paura della crisi di governo che non c’è, esattamente come si instilla la paura dell’inesistente invasione di migranti. Creare un bisogno e un’emergenza che non esiste, per proporsi come uomo risolutore.
C’è da scommettere insomma che il tema “crisi di governo” sarà il jingle dell’estate, tra una birra, una cubista e tanta sabbia. Non un teatrino ma una sceneggiata della politica, un ulteriore gradino a scendere - e forse anche più d’uno - nel degrado del Paese. Che intanto resta, con tutti i suoi problemi squadernati, ingovernato e immobile. A meno che, s’intende, qualcuno lassù al Colle non intervenga. Trovando il modo, per intervenire. Per chiudere subito la sceneggiata o materializzando e dunque aprendo una vera crisi di governo, o riuscendo a imporre quel che la voragine politica che si è aperta con il voto sulla Tav richiede: una crisi pilotata. Un rimpasto, con voto di fiducia al Conte- bis.
Non a caso Salvini continua a ripetere «noi mai chiederemo un rimpasto» : è in tutta probabilità esattamente quel che vuole, un rimpasto più ampio possibile, meglio se alla fine del beach- tour. Ma lo spettacolo sarebbe, ed è, sconcertante: un Paese ridotto a una insostenibile inadeguatezza.