Cesare Damiano, presidente di Lavoro& Welfare e già ministro del Lavoro nel secondo governo Prodi, sullo sciopero di venerdì indetto da Cgil e Ul e contestato dal governo ritiene «oggettivo il fatto che ci troviamo di fronte a una modalità di sciopero generale, visto che l’oggetto è la contestazione in toto della legge di Bilancio, ritenuta da questi sindacati sbagliata e contro gli interessi di lavoratori e pensionati» e sull’ipotesi di precettazione dei lavoratori da parte del ministro delle infrastrutture Matteo Salvini spiega che «può farlo e l’ha già fatto il 13 luglio scorso, ma in questo modo si evidenzia ancora di più come si tratti di un’azione tutta politica che al fondo mette in discussione un diritto costituzionale come il diritto di sciopero».

Presidente Damiano, come si è arrivati allo scontro tra Cgil e Uil, da un lato, e governo, in particolare Salvini, dall’altro?

Per lo sciopero, in apparenza. Sino sotto osservazione le modalità attraverso le quali lo sciopero di venerdì 17, programmato da Cgil e Uil, è stato dichiarato. Sappiamo che nei servizi pubblici essenziali esiste la legge 196/ 90 che disciplina questa materia. Lo sciopero di venerdì, secondo i sindacati, è uno sciopero generale, mentre per la Commissione di garanzia si tratterebbe di uno sciopero intersettoriale. La distinzione è volutamente di lana caprina e corrisponde a due modalità di sciopero diverse: nel caso di sciopero generale non c’è limite di orario.

A mio avviso la Commissione, che è di nomina della maggioranza di governo, ha utilizzato argomentazioni pretestuose, non sufficienti a spiegare la richiesta di una cancellazione o riduzione della durata di questo sciopero. Mi pare oggettivo il fatto che ci troviamo di fronte a una modalità di sciopero generale, visto che l’oggetto è la contestazione in toto della legge di Bilancio, ritenuta da questi sindacati sbagliata e contro gli interessi di lavoratori e pensionati.

C’è infatti il tema del Garante, il quale ha chiesto di annullare lo sciopero mentre Salvini ha minacciato la precettazione. Come se ne esce?

Salvini può precettare i lavoratori e l’ha già fatto il 13 luglio scorso, ma in questo modo si evidenzia ancora di più come si tratti di un’azione tutta politica che al fondo mette in discussione un diritto costituzionale come il diritto di sciopero. Mi auguro che nelle prossime ore prevalga la ragionevolezza.

Questo sciopero dunque è per lei pienamente legittimo?

Faccio notare che in precedenza sindacati autonomi non rappresentativi, che non siedono nemmeno nelle aule del Cnel, hanno dichiarato sciopero generali nei trasporti senza incorrere in alcuna sanzione o richiesta di riduzione della durata dello sciopero medesimo. Direi che ci troviamo di fronte ad argomentazioni un po’ partigiane. A mio avviso, la legittimità di questo sciopero è a tutto tondo. Anche perché i sindacati, dimostrando buona volontà, hanno revocato lo sciopero del trasporto aereo e ridotto quello dei vigili del fuoco a sole 4 ore, venendo parzialmente incontro alle richieste della Commissione. Detto questo, poiché il sale delle relazioni sindacali è la mediazione ragionata, mi sarei aspettato una conclusione bonaria di questo contenzioso, ma così non è stato. In più, c’è il rilancio di Salvini, che fa parte di quella distrazione di massa - in questo caso con l’utilizzo dell’argomento dello sciopero, nei giorni precedenti con quello dell’intesa Italia- Albania sui migranti e nei giorni precedenti ancora con quello sul premierato - che distoglie l’attenzione dai temi sociali ed economici legati a una legge di Bilancio dannosa, soprattutto in tema di pensioni.

Sotto quale punto di vista?

Questa legge di Bilancio manda in pensione più tardi e rende più magri gli assegni pensionistici, esattamente il contrario di quanto promesso in campagna elettorale. Forse l’obiettivo del Governo è trovare argomenti che distolgano l’attenzione dai problemi reali dell’economia e del sociale che stanno interessando il paese. Non a caso la stessa audizione dell’Ufficio parlamentare di bilancio ha messo in luce come la manovra sia di corto respiro, a fronte di un’economia che sta rallentando. Se a questo sommiamo il fatto che Paesi come Francia e Germania si apprestano a sovvenzionare le imprese per diminuire il costo dell’energia, corriamo il rischio di mettere fuori gioco le nostre aziende.

Sullo sciopero di venerdì il sindacato si è diviso, con Cgil e Uil da un lato e Cisl dall’altro: pensa che la frattura avvantaggi il governo?

Quando il sindacato si divide è più debole. Questo è sempre stato vero, soprattutto per chi come me è cresciuto nel sogno dell’unità organica tra le tre sigle sindacali. Quindi, è evidente che la divisone favorisce sempre la controparte. Bisogna dire però che al di là delle modalità, tutti tre i sindacati, in particolare sul tema delle pensioni, hanno dato un giudizio convergente di operazione negativa, regressiva e in perdita per i lavoratori.

A prescindere dallo sciopero di venerdì, pensa sia ancora possibile il dialogo tra governo e parti sociali o lo sbilanciamento è talmente evidente da rendere impossibile una ricomposizione delle relazioni?

L’evoluzione delle relazioni sindacali, anche nel confronto con i Governi, ha avuto un apice positivo nel 1993 con il protocollo Ciampi, un vero protocollo di concertazione triangolare tra Governo e sindacati dei lavoratori e degli imprenditori. Un altro esempio è il protocollo del 2007, quando ero ministro del Lavoro. Anche in quel caso un accordo triangolare che affrontò diversi temi, inventando le Quote e la quattordicesima per i pensionati più poveri, stabilizzando il mercato del lavoro e intervenendo sugli ammortizzatori sociali.

Da quel momento i concetti di concertazione e di dialogo sociale sono stati abbandonati, tant’è che nell’ultimo periodo gli incontri tra sindacati e Governo non hanno prodotto alcun risultato, anzi. La manovra peggiora l’ape sociale, opzione donna e Quota 103 e taglia l’indicizzazione delle previdenza per il ceto medio dei pensionati. Si può dire che si tratta di un dialogo tra sordi che ha ottenuto come risultato l’opposti di quanto chiesto dai sindacati.