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«RInviare, rinviare, rinviare» : è la traduzione nel concreto del classico ' Resistere, resistere, resistere'. Si spera nel rinvio sul Mes e poco importa se si tratterà solo di uno slittamento cosmetico dal momento che, come ha candidamente spiegato il ministro dell'Economia, la sostanza del trattato è già definita.
Non importa neppure che lo spostamento a febbraio e forse oltre della firma fosse già stato deciso prima della levata di scudi italiana. Purché si possa dire che c'è ancora tempo e dunque nulla è definitivo, tutto fa brodo.
E’ il rinvio la parola magica sulla quale punta il premier Giuseppe Conte per uscire senza le ossa rotte dallo scontro sulla prescrizione: «Se le nuove regole sulla prescrizione entrano in vigore con l’inizio del nuovo anno, ci vorranno almeno due anni per i primi processi. Ci sarà tutto il tempo di definire le regole di un giusto processo». Su Alitalia il rinvio è a spese dello Stato. Su Autostrade non si può decidere ancora. Sull'Ilva la trattativa è aperta, vedremo.
Ma non ci sono solo i casi davvero determinanti che fanno clamore. Il rinvio è il toccasana per mettere a posto le frizioni della manovra, la stella polare che indica la rotta nelle commissioni parlamentari. La commissione Bilancio del Senato, quella che sta esaminando la manovra, come è sottolineato nell’editoriale in prima pagina, è stata convocata a vuoto e subito sconvocata talmente tante volte che se ne è perso il conto.
Quando il rinvio non riesce, si può sempre fingere. E’ il caso dell’alleanza strategica fra Pd e M5S senza la quale la ragion d’essere stessa della attuale maggioranza viene a mancare. La piattaforma Rousseau l’ha silurata, con i leader peggio che andar di notte. Ma sì che nella politica italiana per definizione l’ultima non è mai detta data l’abitudine a cambiare posizione come calzini.
Quel rigido no, a guardar ben, è solo un rinvio all’infinito. Domani le cose potrebbero cambiare e se non sarà domani magari il giorno dopo.
' Rinviare' e “Resistere' sono in questo caso sinonimi. Si rinvia per evitare che il confronto degeneri in scontro aperto. Si rinvia per non prendere atto di un fallimento. Si rinvia perché finché c’è governo c’è speranza. Si rinvia contando su una convergenza di interessi, alcuni alti, altri di più modesta statura. C’è chi davvero teme che siano Camere tinte in verde e nero a eleggere un presidente della Repubblica sovranista e chi sbandiera lo spauracchio perché teme soprattutto di non poter più coprire il mutuo. C’è chi sinceramente paventa il cozzo con l'Europa, e non a caso la paroletta ' Italexit' è tornata negli ultimi giorni a circolare, e chi più egoisticamente teme di non incassare oggi un risultato elettorale confortante.
Il rinvio ha il suo costo, e non è a prezzo di saldo. Implica purtroppo immobilità e paralisi. Si può restare immoti come mummie ma anche solo ad agitare il mignolo si rischia di infrangere un equilibrio che chiamarlo precario è pochissimo.
Càpita purtroppo che tutto intorno invece la realtà si muova, spesso con una certa aggressività, e la stasi rischia di risolversi nella posizione del coniglio bloccato dai fari in mezzo all'autostrada.
Le fazioni che si fronteggiano sono trasversali. In ognuna delle forze della maggioranza c’è chi è tentato dal voto subito, convinto che il tempo, trattandosi n questo caso di tempo vuoto, giochi a sfavore dovendosi prima o poi per forza aprire le urne elettorali.
Nessuno lo ammette però, pena l’accusa di alto tradimento, disfattismo e intelligenza col nemico. In questo nebbioso panorama denso di inconfessabilità e di ambiguità, fioriscono i sospetti: «Di Maio punta i piedi sul Mes. Sarà che punta alla crisi?». «Zingaretti non molla sulla prescrizione. Già, perché in questo governo non ci ha mai creduto e mira al voto subito».
Un po' per forza d’inerzia, un po' perché chi vorrebbe sbloccare comunque la situazione deve giurare e spergiurare il contrario, molto per la somma di interesse privati e collettivi in ballo, nella maggioranza il fronte della resistenza anche a costo di campare di rinvii è però puntualmente avvantaggiato. Senza però essere in grado di trasformare la resistenza passiva in una politica attiva, e dunque scontando una crescente fragilità.
In questi casi, alla fine, è una qualche contingenza esterna, prevista come le elezioni regionali o più spesso imprevedibile, che squassa l’instabile e precario equilibrio. Ma arrivare alla crisi così per le forze di maggioranza, tutte e ciascuna singolarmente presa, sarebbe l’esito più esiziale.