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Assalto ai treni diretti verso il Sud, e corse precipitose in auto, prima che le 14 province interessate dal nuovo decreto del governo diventassero off limits. Ovvero “lazzaretti” senza speranza, secondo il metro di valutazione dei troppo furbi ( o troppo viziati) cittadini in fuga. Poco o nulla è importato immaginare che magari il virus potesse essere già in corpo e lo si potesse recare in “dono” ai propri parenti nelle aree del Paese non ancora “rosse”. Senso civico zero, altruismo meno uno, capacità di discernimento non pervenuta. Se questa è l’ultima scena offerta dall’epidemia, c’è qualcosa di assai grave che è accaduto e accade, in questo Paese, e che il “coronavirus” impietosamente fa emergere. Ce n’è abbastanza da far pensare che 160 anni dopo questo Paese stenti a ricomprendersi in un destino unico, in una concordia nazionale che vada oltre il tifo calcistico ai mondiali e il “sovranismo” di taluni. Che si dimostra, ora più che mai, di facciata. Non si saprà mai con certezza se è davvero trapelata dall’entourage del governatore leghista Fontana la bozza del decreto in lavorazione a Palazzo Chigi ( l’ufficio stampa della Regione Lombardia si è discolpata sostenendo di aver appreso come gli altri dai siti online, smentendo la notizia diramata dalla Cnn). Sarebbe un atto di gravità incredibile. Eppure non al di fuori di una tendenza in atto che riteniamo ancora più devastante. La cronaca di queste settimane infatti ci mostra un’insensata guerra tra governo centrale e governi periferici, tra maggioranza e opposizione, indegna di un Paese che voglia dichiararsi Nazione e mantenere quel desiderio di comunità che animò gli avi. Altro che “right or wrong it’s my country”. Altro che appello alla concordia da parte del Capo dello Stato. A una certa incompetenza da parte del governo Conte, all’approssimazione di alcune dinamiche che sanno di inadeguatezza di fronte al pericolo, sembra essersi aggiunto un “interesse particulare” e irresponsabile. Un egoismo privo di logica specie durante un’epidemia, nella quale la sorte di ognuno è legata alla sorte degli altri - capace di minare dalle fondamenta il nostro oggi e il nostro domani.
D’accordo: mai si era visto un decreto così “annunciato” ( oltre alle indiscrezioni sulle bozze, anche il tempo dilatato di applicazione sembra leggerezza imperdonabile). E dovremmo forse andare indietro nel tempo, al tempo dell’indecoroso annuncio dell’armistizio dell’otto settembre del ’ 43 per trovare una simile, autolesionistica incapacità di gestire l’emergenza nazionale. Eppure ciò non giustifica l’allarmismo e il sabotaggio continuo da parte di Regioni “gonfiate” dalle competenze date loro dalla riforma del titolo V che oggi sembrano Frankenstein impazziti di uno Stato che non pare avere autorevolezza necessaria a controllarle. Allo stesso tempo, il protagonismo dei governatori si dimostra causa ed effetto di ciò che stiamo vivendo. Se anche il Pirellone non si fosse macchiato della diffusione di notizie contrarie all’interesse nazionale, resta che lo stesso governatore Fontana ha creato allarmismo e confusione con il suo continuo controcanto a Palazzo Chigi. Per non parlare dell’invereconda scena della mascherina ( o era un tanga?) goffamente indossata davanti alla videocamera. E nello stesso vortice cade il governatore veneto Zaia, anche lui sulle barricate contro il governo, non pago di aver creato una crisi diplomatica per aver svelato la persistenza di un chinaise breakfast a base di ratatoulille. Ormai persino i sindaci ritengono di poter intervenire con toni e piglio esorbitante – ieri quello di Asti si è dichiarato “incazzatissimo” perché “a me nessuno mi ha avvisato”. Forse sono tutti tentativi di una spallata silenziosa a Conte da parte di un’opposizione che fa sciacallaggio sulla sventura. Ma soprattutto, diremmo, è anche il frutto deteriore di un sistema regionale che proietta figure di questo tipo verso responsabilità e occasioni di esposizione politica che sarebbe stato più opportuno non concedere loro. Negli ultimi anni le Regioni, al netto delle inchieste giudiziarie e nello sciupio delle risorse, hanno rappresentato un inquinamento costante della vita politica del quale hanno fatto le spese anzitutto le segreterie dei partiti, sottoposte al ricatto di quelli che giustamente già vennero identificati come “cacicchi”. Ultime roccaforti del potere concreto, fabbrica di consenso diffuso capillarmente, le Regioni sembrano essere diventate la ridotta dei partiti, a partire dal crollo di Tangentopoli. A virus bloccato ( speriamo) non sarebbe male riparlarne serenamente, senza tabù e ipocrisie, tra posteri sopravvissuti.